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Titolo: The Legend of Eiji - La cronaca, Il piccolo Avatar (cap. 10)

Cow”t 9, settima settimana, M11.
prompt: “La morte”
Numero parole: 4644
Rating: Verde
Fandom: The Legend of Korra

Introduzione: [La storia si svolge diversi anni dopo la morte dell’Avatar Korra.]
La morte, L’arcano senza nome, la tredicesima carta dei tarocchi. Rappresenta la fine, il mutamento, la rinascita. Chi meglio dell’Avatar può incarnare tutte queste caratteristiche?
Eiji e i suoi guardiani sono finalmente giunti a casa di Fen”Shu e per la vecchia Daiyu è giunto il momento che tanto temeva, quanto desiderava, rincontrare gli occhi di suo figlio, dentro il corpo del nuovo Avatar.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale
Coppia: nessuna
Avvertimenti: nessuno

 

--- --- ---

 

 

Il piccolo Avatar

 

La serata stava passando tranquilla, mentre Fen Shu osservava fuori dalla finestra della cucina.

L’acqua per la sua tisana sembrava non volersi decidere a bollire.

Si sentiva strana, non turbata di per sè ma… perplessa, ecco, questa era la parola giusta: dopo che quello zuccone dalla pelle scura di suo cugino si era trascinato via la sua Min, lei era rimasta imbambolata a fissare la porta socchiusa, mentre sentiva i passi dei due ragazzi allontanarsi per le scale.

 

Quel comportamento non era da Jin. Suo cugino era stato piuttosto strano, considerando che era passato diverso tempo da quando avevano finito di pranzare, era impossibile che non avesse ancora finito di rassettare la cucina. No, non era davvero da lui, per questo era scesa quatta quatta fino ad arrivare a spiare dalla porta socchiusa della cucina.

Contrariamente a quanto si aspettava, però, Jin e la sua migliore amica stavano davvero lavando i piatti, o per meglio dire: Jin li lavava e Min li asciugava.

Malgrado tutto qualcosa ancora non le tornava: sul momento aveva pensato che il ragazzo, trovandosi costretto a cucinare per così tante e, oltretutto, dopo aver dovuto sistemare i danni causati dalla baruffa di Kiki e Miyuri, fosse stato semplicemente stanco.

 

Fen Si era sentita dispiaciuta. Jin stava facendo le faccende di casa tutto da solo a causa della scommessa persa, ma certo non erano stati previsti degli ospiti quando lei gliel’aveva lanciata.

Certo una scommessa era una scommessa e probabilmente se fosse stata lei al suo posto il cugino non si sarebbe fatto certo impietosire, ma Fen Shu era Fen Shu e non trovava giusto che il ragazzo si facesse carico di tutto il lavoro. Così, quando era stato il momento per Min di tornare a casa lei, con la scusa di accompagnarla, si era offerta di andare a fare la spesa al posto del cugino trovandosi già di strada.

Ahhh, quel cretino invece di essere contento, aveva avuto anche il coraggio di dirle che non si fidava e che sarebbe stato meglio che andasse anche lui per controllasse che non facesse guai.

Era stata così costretta a rivelargli che lo stava facendo proprio per concedergli un po’ di respiro, per lasciargli tempo di riposare, ma era stata ripagata appieno dalla faccia assurda che Jin aveva messo su. L’aveva preso contropiede, una cosa che capitava di rado, e Fen non aveva potuto fare a meno di gongolare di quella sua espressione meravigliata. Questo, almeno fin quando, arrivato il momento di andare, non le aveva presentato un “blocchetto” di fogliettini.

 

Fen Shu sbuffò nel ricordare con quanta scrupolosità avesse appuntato (e spiegato) ogni singola voce di quella che si era poi rivelata la lista della spesa (una assurda lista della spesa), divisa negozio per negozio e… ogni biglietto indirizzato ai vari titolari delle varie rivendite.

Il sorriso tronfio di Jin nel dirle che sarebbe bastata semplicemente che desse il foglietto chi era indirizzato e nessuno avrebbe corso rischi di sorta le aveva istantaneamente fatto venire voglia di prenderlo a borsettate li sulla soglia di casa, incurante di dare spettacolo davanti ai passanti.

 

Ma per chi diavolo mi ha presa quell’idiota?! Per una di quelle ragazzine cretine tutte trucco e niente cervello che ogni tanto si porta a letto?” Sbottò dentro di sé mentre, spento il fornello, versava l’acqua bollente nella teiera che l’attendeva sul tavolo. “Colpa mia, non dovevo essere tanto gentile, così imparo a fagli un favore! Giuro che non ci sarà una prossima volta. A costo di impiccarmi con le mie stesse mani.

Naturalmente Fen Shu non avrebbe rivelato mai a quell’odioso “affare” che si ritrovava per cugino, che aveva evitato la figuraccia per un soffio quando, imboccata la via di casa, si era trovata in mano il biglietto per il Signor Wong ed era tornata di corsa indietro fino alla macelleria.

 

Questo non voleva dire che fosse imbranata come credeva Jin, distratta, questo sì, ma non imbranata. Aveva percorso tutto il tratto di strada da casa sua a quella di Min sovrappensiero, mentre l’amica le faceva il resoconto della telefonata con il professore Chao Chin riguardo all’appuntamento con l’Avatar.

Era stata brava Min. Aveva riferito all’uomo che l’Avatar “le aveva lasciato detto” che si sarebbe fatto vivo l’indomani per finalizzare i termini del loro incontro, rimanendo totalmente sul vago.

 

Che vergogna!

La sua amica era così sveglia (beh, quando non c’era Jin nei paraggi) mentre lei era sempre così sbadata.

 

Non aveva più ripensato al fatto dei piatti sporchi fino a ché, rientrando per la cena, mentre Jin apparecchiava, la nonna non aveva commentato quanto fossero puliti i piatti.

“Senza neppure un alone”, aveva detto, facendo ridacchiare Fen.

“E certo, nonna. Normalmente li lava e li lascia asciugare all’aria così come vengono, mentre oggi aveva Min come asciugatrice di piatti d’eccezione”, ricordava bene di avergli detto.

La sua nonnina però l’aveva guadata stupita, chinando la testa di lato e commentando poi: “Sono diventata proprio sbadata con la vecchiaia allora, nipotina mia! Devo aver confuso un giorno con un altro, perché ero sicura, quando sono uscita per tornare in pasticceria, che Jin avesse appena finito di lavare i piatti tutto da solo, e che li avesse come al solito ordinati sul lavello perché si asciugassero da soli.”

Mentre l’anziana signora si allontanava, ridacchiando sulla sua supposta sbadataggine, Fen Shu era rimasta stupita, si era fatta poi pensierosa: Possibile che la nonna si fosse davvero confusa?

 

Nonna Daiyu aveva una memoria di ferro, checché ne dicesse quando le conveniva, non poteva essersi sbagliata. Eppure lei aveva visto chiaramente i piatti sporchi di bollito.

Bollito?” d’improvviso le era giunta una realizzazione: i piatti erano sporchi, ma ricordava chiaramente che i loro ospiti avevano così tanto gradito il pasto di mezzodì da lucidare letteralmente i piatti. Mentre quelli che aveva visto lei erano unti come se gli fosse stato versato sopra di proposito dell’unto.

Possibile che Jin avesse lavato tutto per poi risporcarlo con gli avanzi del brodo, che aveva detto di voler conservare per l’indomani, apposta per trascinare Min di sotto in cucina?

Ma a che scopo?

 

Oh spiriti!!! Vi prego non ditemi che ha incominciato un altro dei suoi esperimenti sociali e ci ha infilato in mezzo la mia amica!” Pensò disperata mentre si versava una bella tazza abbondante di tisana, prima di farsi scivolare lo scialle sulle spalle.

Malgrado fosse primavera inoltrata, le serate erano ancora fresche e a lei, da sempre, piaceva andarsi a sedere sulla panca del portico dopo cena, mentre si sorbiva la sua tisana.

Era un abitudine vecchia di anni: quella sotto i glicini era la panca preferita del nonno, ed era questo a rendere quella sua piccola abitudine tanto cara.

 

 

Daiyu se ne stava appoggiata alla vetrata della veranda che dava sul cortile esterno della sua abitazione, osservava incuriosita un ragazzo seduto su una moto, appena arrivato.

Per un attimo si era domandata che cosa cercasse un tizio del genere, vestito di pelle su una moto nera fiammante, proprio davanti al cancello della sua casa, quando aveva visto suo nipote uscire e andargli incontro. Quel ragazzo si era tolto il casco per salutare Jin, scoprendo il volto di quel monello di Sue, ed improvvisamente la sa mente si era concentrata sul come intervenire per evitare che il nipote salisse su quel bolide.

Purtroppo per lei, Jin, nell’infilarsi il casco che Sue gli passava e salire in sella, era stato più rapido del suo pensiero.

 

Sospirò. Jin era abbastanza grande da saper badare a se stesso, ormai. Non sarebbe stato carino da parte sua impicciarsi, anche se rimaneva sempre il suo amato nipotino.

Ok, per questa volta si sarebbe limitata a supplicare gli spiriti che, quel debosciato di Sue, non decidesse di andarsi a schiantare a tutta velocità contro un muro, proprio quando il suo adorato nipote era con lui, ma se gli spiriti non l’avrebbero ascoltata? Ahhh, cosa avrebbe fatto?

Mai più uscite non autorizzate su mezzi più veloci di una bicicletta, parola di Daiyu”, si disse.

 

“Ehi amico, fai piano, mica stai montando su un tronco d’albero!” La voce di Sue le giunse dal vetro socchiuso della veranda.

“Non fare l’esagerato, Su, non te la rompo mica!” rispose il suo pargolo (che del pargolo, ormai, aveva davvero molto poco, ma non agli occhi di sua nonnina), scatenandole un sorriso.

Non fare l’esagerato? Ehi, dico, ma l’hai vista bene? Slanciata, bellissima, con tutte le curve al posto giusto…”

“Stai parlando della moto, vero?” domandò Jin, perplesso.

“Chiamarla Moto è limitativo. Senti la sua voce”, disse l’altro sgassando quel minimo necessario per mandarla su di giri. “Sentila tra le gambe. È viva e adoro quando fa le fusa come una gattina.”

“Sei fuori!” se la rise Jin. “Ne parli quasi fosse la tua ragazza.”

“Eretico!” sbuffò l’altro. “È meglio di una ragazza: esegue alla lettera quello che voglio da lei, abbiamo gli stessi gusti. Pensa: adoriamo tutti e due l’alta velocità!”

Un attimo di silenzio prima che entrambi i ragazzi scoppiassero a ridere.

 

Daiyu pensò che quei due si fossero davvero scelti nel mazzo.

 

“Piuttosto come mai hai voluto che ti passassi a prendere?” chiese ancora il moro con gli occhi grigi.

“Uff!” sbuffò stancamente il nipote. “Giornata pesante, avevo voglia di distrarmi, ma un po’ meno di farmela a piedi fino al pub.”

“Interessante, quindi ha ragione tua cugina quando dice che mi cerchi solo quando ti fa comodo.”

“Non dire cretinate, ci vediamo tutti i giorni.”

“Sì, certo, insieme a miliardi di altre persone.”

“Sai, non credo che al Pub di Hoshi, c’entrino miliardi di persone.”

“Bah, una più, una meno, il concetto non cambia”, commentò Sue, facendo spallucce, mentre Jin ancora se la rideva, prima di rinfilarsi il casco e raccomandarsi: “Tieniti forte, questa bellezza, non fa solo le fusa, sa anche ruggire.”

 

“Ti faccio sentire come ruggisco io, se stasera non mi riporti a casa tutto intero il nipote.” Minacciò sottovoce Daiyu, mentre la moto con i due ragazzi si allontanava.

“Avete cresciuto dei bravi ragazzi. Hanno i vostri stessi occhi.” Giunse inaspettata la voce dell’Avatar alle sue spalle.

A Daiyu per un secondo mancò il fiato nel sentire quella voce, ma poi sorrise, socchiudendo gli occhi e volgendosi verso il ragazzo.

“Avatar Eiji”, salutò, mentre il Maestro degli Elementi si accostava a quella stessa vetrata, poggiandosi allo stipite accanto alla donna. “Fen, lei sì, ma Jin… Jin ha gli occhi di sua madre e per il resto è tutto suo padre.”

 

 

Ling, dal marciapiede che costeggiava la casa, osservò il dominatore dell’acqua salire sulla moto di quel giovane dagli occhi grigi. Per sua abitudine aveva fatto un giro di ronda all’esterno, per assicurarsi che non ci fosse nulla di strano.

Chissà se quel ragazzo è davvero il Maestro dell’Acqua che il custode cerca da quasi sei anni ormai”, pensò tra sé e sé, arrivato ormai in prossimità dell’ingresso. Si volse verso la casa. Dietro la vetrata vide chiaramente la sua Zietta parlare con l’Avatar.

 

La sua famiglia aveva aiutato la vecchia Daiyu a scomparire anni prima e questo era un segreto che avevano tenuto per loro a lungo. Quella donna aveva meritato un po’ di pace, dopo tante sofferenze passate.

Daiyu e suo figlio erano stati tra i guardiani dell’Avatar prima che lui ed i suoi amici nascessero. Da ragazzino non aveva capito come mai i suoi genitori ritenessero tanto gravoso ritenere segreto quello che avevano fatto, ma adesso… adesso che era diventato lui uno dei guardiani dell’Avatar, aveva capito cosa volesse dire dedicarsi anima e corpo a una persona, a un ideale; non riusciva a immaginare più una vita diversa da quella che faceva e il solo pensare ad una eventualità del genere gli dava le vertigini.

Era come se, prima di aver conosciuto Eiji, lui non esistesse; non veramente almeno.

Trovarsi senza l’Avatar del Fuoco sarebbe valso come tornare ad essere la nullità che sentiva di essere stato, perché prima del loro incontro nulla aveva avuto senso, nulla era davvero stato importante rispetto a quanto stavano compiendo seguendo il destino del Custode dell’Equilibrio. 

 

Ling decise di rientrare in casa evitando di essere scorto dalla padrona di casa e dal Suo Signore: non era certo tanto difficile ritornare sui suoi stessi passi e scavalcare un muro.

Si ritrovò così sul retro della casa accovacciato sul muretto proprio all’altezza della camera di Mai.

Le luci erano spente e da quel poco che percepiva il suo senso sismico, la dominatrice stava cercando di prendere sonno. Dal battito del cuore della ragazza gli fu immediatamente chiara tutta la sua ansia.

Probabilmente l’incontro tra l’Avatar e la sua vecchia guardiana la turbava quanto lui.

In un altro momento sarebbe andato ad abbracciarla, a stringerla a sé per rassicurarla, ma… sebbene una volta fossero stati molto vicini, da quando l’avventura al seguito dell’Avatar era iniziata lei aveva preferito dedicarsi anima e corpo ai due gemelli del fuoco. E, per quanto ci fosse stata sempre nei momenti più bui, tra loro qualcosa era cambiato, si era come rotto, rovinato.

 

Sospirò pesantemente. Per assurdo, per quanto bramassero avere momenti di tranquillità, proprio come quello che stavano vivendo, una parte di loro temeva quello che avrebbero portato con loro: con la tranquillità la mente si permetteva di spaziare in verità diverse, che nell’urgenza venivano tralasciate. Verità per alcuni versi dolorose, per altri necessarie a capire meglio se stessi.

 

Si lasciò scivolare seduto su quel muretto, portandosi un ginocchio al petto, trovare stranamente piacevole il pensiero di vegliare per un po’ su quella che era stata la sua migliore amica, anche se nascosto dalle fronde dell’albero che si ergeva tra quel muro e la casa.

Ricordò di quando era lei fuori la sua finestra, in attesa che nessuno la vedesse per tirare una pietra o una scarpa, solo per attrarre la sua attenzione; per poi trascinarlo sul tetto della sua casa solamente per guardare la luna e fantasticare su cosa sarebbero diventati da grandi.

 

Si volse a guardare in cielo quella luna tanto meravigliosa quanto enorme in quel periodo dell’anno.

 

“Quanti raffreddori ci siamo presi addormentandoci sul tetto, esausti dalle nostre stesse chiacchiere, ti ricordi, Mai?” Sorrise sereno a quel pensiero. Una parte di lui era convinta che, per quanto non avessero più avuto modo di parlare dei vecchi tempi, anche lei non poteva non pensarvi con tenerezza.

 

 

“Maestra Daiyu”, saluto di rimando l’Avatar del Fuoco all’anziana Guerriera Kyoshi. “Spero di non essere arrivato prima di quanto si aspettasse.”

“A dire il vero, sei piuttosto in ritardo, ragazzino”, commentò lei con tono divertito. “Dovresti saperlo che non si fanno aspettare le signore.”

Eiji, sorrise. “Avete ragione, ma…”

“Niente ma”, l’interruppe Daiyu, passando velocemente una mano tra lei e il giovane. “Sei in ritardo, ammetti le tue colpe.” Il tono canzonatorio mal si accostava a quanto dichiarava.

Eiji abbassò il capo, allargando maggiormente il sorriso. “Ammetto le mie colpe, ma se avessi saputo dove foste, sarei giunto molto prima da voi.”

La donna sospirò, facendosi seria. “Dritto al punto, vedo.”

Il ragazzo difronte a lei annuì. “Perché non avete lasciato traccia di voi quado avete abbandonato l’Isola Kyoshi?”

“Avevo il cuore a pezzi, ragazzo mio, un marito e un figlio martoriati, un orfano da crescere.”

“A quanto pare, andare al punto non è solo una mia prerogativa.”

Questa volta fu lei a sorridere, abbandonando, almeno apparentemente, quel velo di serietà. “Ho sperato che questo giorno non arrivasse mai. Ma sapevo che, prima o poi…”

“Mi dispiace” intervenne Eiji, interrompendola.

“Non dire fesserie, sei l’Avatar, ti prenderai quello che vuoi, dicendo a te stesso che è per il bene dell’umanità e mi spezzerai di nuovo il cuore.”

“Non costringo nessuno a…”

“Zitto, signorino”, lo ammutolì, puntandogli un dito sulle labbra. “Ho servito il Loto Bianco, ho militato sotto Korra e ho cresciuto Ruri come fosse mio, dopo che il padre l’aveva abbandonato. Sono stata accanto a ben due Avatar, quindi non raccontarmi favolette. Credi davvero che non sappia come funzionino le cose, o quanto sappiate essere carismatici voi Custodi? Gli altri pensano di avere scelta, ma non ce l’hanno, sono troppo abbagliati dalla vostra luce per vedere altro.”

 

Eiji rimase a capo chino, non riuscendo a trovare le parole per ribattere a quanto la donna aveva appena detto.

Rimasero così, in silenzio, per diversi, interminabili secondi, fin quando il Custode non trovò il coraggio di dire: “Quando a sedici anni è stato rivelato il mio destino, gli Avatar che mi hanno preceduto sono piombati nella mia vita.”

 

Una pausa in quel dire costrinse Daiyu a cercare gli occhi rossi del giovane: lo vide sorridere malinconicamente mentre alzando il volto verso le luci che illuminavano quella splendida serata, aggiunse: “La prima cosa che ho fatto è stato andare all’Isola Kyoshi per cercarti, mamma.” La voce aveva assunto una nota fanciullesca, infantile.

“Ruri?” domandò, sentendosi piombare addosso tutto il dolore passato. Aveva temuto che quel momento arrivasse. “Come potevo, piccino? Come potevo rimanere. Ti ho visto morire. Ti ho visto morire due volte, non potevo sopportare di vederti crescere ancora, sapendo che saresti morto di nuovo e di nuovo.”

“Mi hai pensato almeno un pochino in questi anni, mamma?”

“Non ho smesso un solo giorno di farlo”, rispose a quel tono di voce che tanto bene conosceva, mentre le lacrime scendevano a rigarle il viso.

“Sai, ho pensato che non mi volessi più bene dopo la morte di Noraq, io non mi sono voluto più bene.”

Daiyu l’afferro di getto e se lo tirò contro, stringendolo tra le braccia. “Non pensarlo. Ho solo creduto di fare la cosa migliore per tutti.”

Eiji si piegò quanto gli era possibile per lasciarsi avvolgere dalle braccia della donna, ma non aggiunse nulla a quanto appena udito.

Lei, dopo poco, continuò tra le lacrime: “Eravamo distrutti dal dolore. Tekora aveva perso non solo te, ma anche Noraq. Era fuori di sé, non parlò per giorni. Per giorni non guardò il volto del suo bambino, non ci riusciva. Il mio amato Dewei aveva ti aveva perso, aveva perso il suo bambino, ed era ferito. Jin quella notte non perse solo una gamba, ma un fratello e il suo migliore amico. Dovevo fare qualcosa e… lasciai il Loto Bianco. Feci in modo che l’ordine perdesse le nostre tracce e ci trasferimmo qui. Chi avrebbe mai pensato che una semplice pasticciera potesse essere in realtà una guerriera del Loto. Oltretutto Dewei era nato in questa città, l’amava molto e… le sue ferite erano talmente gravi, Ruri. Sopravvisse solo tre anni, prima di chiedermi di lasciarlo andare.” La voce di Daiyu era spezzata dal pianto. “Tutt’ora Jin e Tekora non si fermano nello stesso posto per più di un anno e mio figlio maggiore, ti ricordi di lui? Beh, lui e sua moglie per anni hanno vissuto passando da una città all’altra, per evitare che ci scoprissero, fin tanto quella vita non li ha allontanati.”

“Sì, mi ricordo di lui.” Rispose a quel punto quel giovane Avatar. “Ero presente quando è nata sua figlia, è… è Fen, non è vero?”

Lei annuì ancora stretta al ragazzo. “Aveva poco più di un anno quando sei scomparso.”

“Jin è il figlio di Noraq?”

Daiyu annuì ancora.

“Lo sa. Sa che suo padre ha perso la vita nel tentativo di salvarmi?”

“I ragazzi non sanno nulla. Erano talmente piccoli… è stato il modo migliore per proteggerli.”

“Non gli hai mai parlato di me. Hai vissuto questi ultimi anni come se non fossi mai esistito.”

“Non dirlo. Te l’ho già detto, non è passato giorno…”

“Ma non sanno che il Loto ti affidò un orfano nato lo stesso giorno della morte di Korra, chiedendoti di addestrarlo perché i saggi avevano visto in lui il nuovo Avatar.”

“Ruri, io…”

“Il brutto, mamma, non è morire, è essere dimenticati. Per me erano parte della mia vita, della mia famiglia. Li ho tenuti in braccio, li ho cullati, quando…” anche la voce dell’Avatar, si fece rauca per le lacrime. “…Quando ti ho vista e ho capito. È stato come essere stato abbandonato due volte.”

Daiyu lo strinse a sé come più poteva. Non riusciva a trovare le parole per dirgli che si sbagliava e sperò che quel gesto gli infondesse il giusto valore dei suoi sentimenti e di quella scelta dolorosa, sperò più per lei che per colui che era stato il suo bambino.

“Anche papà è morto odiandomi, come il mio vero padre?”

“Smettila, ti prego! Dewei ti adorava, non poteva odiarti. Io non ti odio. Ho preso una scelta… quella che mi sembrava la migliore, l’unica, per risollevare la mia famiglia, ma non c’è stato giorno…”

Non c’è stato giorno…” la interruppe lui, ripetendo le sue parole e accennando a un ghigno nel farlo. “…Ma nessuno di voi mi ha cercato. Ho passato anni a vegliare la mia tomba nel giorno della mia scomparsa, nella speranza di vedervi portare un fiore e avere così la possibilità di riabbracciarvi, ma… nulla. Eravate la mia famiglia e mi avete lasciato solo.”

“Mi dispiace, Ruri. So che per te è difficile crederlo, ma ognuno di noi avrebbe voluto… ognuno di noi ricordava quel giorno e… non è stato facile trovare conforto lontani da quello che erano rimasto di te, piccolo mio.”

“Siete scappati come è scappato il mio vero padre, dopo che la donna che mi aveva messo al mondo era morta. Come voi, temeva per la sua vita, rimanendo accanto all’Avatar. Proprio come voi…”

“Quindi… è questo che volevi dirmi? Che in realtà sei tu ad odiarmi per quello che ho fatto?”

Ancora piombò il silenzio mentre le braccia del ragazzo si strinsero maggiormente attorno alla donna.

“Non posso. Non potrei mai odiarti.”

“Allora, ti prego, non credere che io possa o che possano i tuoi fratelli. Se solo avessi immaginato incontro a quale tortura saresti andato, non lo avrei mai fatto… te lo giuro, piccolo mio, te lo giuro.”

 

Rimasero stretti a lungo in silenzio, tra le lacrime, fin tanto che il piccolo Avatar, stanco, non permise di tornare al nuovo Custode.

 

 

Mai si sentiva ansiosa, chiusa nella sua camera.

Conosceva la storia del piccolo Avatar e temeva che per Eiji parlare con la vecchia Daiyu fosse una prova troppo pesante da superare.

Era esausta, ma quel pensiero la faceva voltare e rivoltare tra le coperte, impossibilitata a prendere sonno.

I raggi fiochi della luna, che filtravano attraverso le tende tirate, disegnavano pallidamente i contorni della sua sagoma contro il muro.

Sorrise stupidamente nel rendersi conto di quel chiarore, ripensando a quando, da bambina, ogni volta che la luna era tanto luminosa in cielo, correva a tirare Ling giù dal letto per portarlo con sé a guardare il cielo.

Il buio le faceva tanta paura, ma luna era talmente bella. Con il suo amico la paura scompariva, era come se accanto a lui tutto fosse migliore, anche la notte diventava bellissima con la sua trapunta di stelle.

Quando abbiamo smesso di arrampicarci sui tetti e sognare?” Chiese un po’ a sé stessa un po’ all’assenza del suo enorme amico. “Non lo ricordo, ma nulla è destinato a durare per sempre. Ne sono successe tante. Sono stata costretta a scegliere tra realizzare i miei sogni o vegliare sull’Avatar. Ma nessuno potrà mai portarmi via quei ricordi.” Quel pensiero, malgrado la riempisse di nostalgia le regalò un sorriso; un sorriso che, almeno per pochi istanti, allontanò l’agitazione dal suo cuore.

 

 

Eiji era stato chiaro: voleva parlare da solo con la padrona di casa.

Ma Fumio aveva visto il fratello mutare troppo repentinamente i suoi atteggiamenti da quando aveva riconosciuto la persona di Lady Daiyu nella nonnina di Fen Shu.

Eiji si era fatto silenzioso e attento, Fumio sapeva che qualcosa aveva cominciato a roderlo da dentro e non si trattava solamente della possibilità di apprendere il domino dell’acqua dal nipote dell’anziana signora.

No, era qualcosa di più atavico, qualcosa di più profondo che albergava dentro di lui.

Fumio era un membro del Loto Bianco e se c’era qualcosa che doveva conoscere più dell’arte della spada e del dominio del fuoco, era la storia dei Custodi dell’Equilibrio.

 

L’Avatar che aveva preceduto Eiji era stato addestrato dalla donna in questione e cresciuto in grembo alla sua famiglia. Questa, insieme al figlio minore erano poi divenuti suoi guardiani: una guerriera Kyoshi e un giovane Dominatore della terra addestrato nell’arte dei guerrieri Dai Lee. A chiudere il gruppo c’era stata poi una dominatrice della palude e quello che era il suo compagno, un abile dominatore delle energie fredde. Ancora non erano stati designati i maestri del fuoco e dell’aria al giovane Avatar che venne richiesto il suo intervento affinché le lotte tra le Tribù dell’Acqua terminassero e, seppure non fosse pronto, non fu in grado di sottrarsi al suo destino, così rispose a quel richiamo d’aiuto. Rispose, ma non tutti volevano la pace. Non tutti volevano sottostare al verdetto del Consiglio delle Tribù e di quello che per loro era poco più di un moccioso. Organizzarono un attentato: erano in molti e bene armati. Poco poterono fare, solo quattro persone e il giovane Avatar contro un esercito.

Aveva 13 anni, l’Avatar Ruri, quando abbandonò questo mondo, solo tredici anni. Si racconta che i lamenti degli spiriti echeggiarono sofferenti per giorni attorno ai portali e che il grande albero nella palude perse gran parte delle sue foglie a causa di quell’atto abominevole.

 

Quanto ci fosse di legenda, o quanto di verità, in quella storia, Fumio non lo sapeva, ma era certo che se esisteva qualcuno che conoscesse quella storia meglio di ogni altro, quello era sicuramente il suo gemello, l’Avatar.

 

Aveva promesso di non intervenire, ma la sua indole lo tormentava e non lasciò passare molto che quasi senza accorgersene si ritrovò affacciato verso il cortile interno della casa nel tentativo di accertarsi che Eiji stesse bene.

Purtroppo per lui l’Avatar non si trovava lì, ma scorse sotto il pergolato, infagottata e seduta su una panca di legno, la ragazza dai capelli rossi.

 

Sospirò, osservandola gustare del liquido caldo dalla tazza che teneva tra le mani.

Forse quella ragazza sarebbe potuta essere un buon diversivo, un modo per evitarsi di cedere alla sua esagerata iperprotettività e lasciare al fratello il tempo che desiderava.

 

 

Fen se ne stava raggomitolata nel suo scialle, a godersi ancora qualche minuto di quella splendida serata, quando un ticchettare di unghiette accanto a lei l’incuriosì, costringendola a voltarsi.

Il topino bianco dell’Avatar si era arrampicato su quella panchina e nel momento in cui si era voltata si era come paralizzato fissando attento i suoi occhi e annusando curioso l’aria.

Ora che poteva guardarlo bene era di un bianco candido con due occhi rossi brillanti come rubini. Al collo portava un nastro scarlatto con un ciondolo dorato che rappresentava il simbolo stilizzato della Nazione del Fuoco.

 

 

Fumio arrivò in prossimità della nipote della vecchia Daiyu, quando vide quel mostriciattolo di Kiki, arrampicarsi sulla panca dove questa sedeva.

Sorrise divertito: quel topo, proprio come suo fratello, non sapeva rispettare le regole, poco contava che Eiji gli avesse intimato di non uscire dalla stanza, lui aveva preferito rischiare di incrociare la grossa gatta bianca di quella casa piuttosto che sottomettersi.

Sospirò arreso. L’intervento di quel topino, involontariamente, gli aveva dato il tempo di riflettere meglio su quella situazione ed a capire se Fen Shu aveva deciso di starsene da sola in veranda, probabilmente era perché aveva qualcosa a cui pensare.

Lui e il restante del suo gruppo erano ospiti in quella casa, quindi perché dare a quelle persone un ulteriore fastidio?

Fece spallucce. Sarebbe tornato a cercare di quietare quella sua sciocca preoccupazione nella stanza che avevano assegnato a lui e al fratello. Si soffermò solo qualche istante per ripensare alla scena che si era trovato davanti prima che arrivasse quel bianco disturbatore. Davvero un bel quadretto infondo. Una ragazza persa nei suoi pensieri che osservava il cielo, gustandosi una tisana fumante, avvolta in un calda stola, sotto un pergolato di glicini bianchi.

 

Sorrise ancora, era finalmente pronto a ritornare sui suoi passi.

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