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Titolo: “Il regalo”
Cow-t 9, sesta settimana, M1.
Prompt: “Parità”
Numero parole: 5000
Rating: Rosso
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Introduzione:[La storia non prende in considerazione gli eventi dell’8° stagione] Keith non ama il giorno del suo compleanno. I ragazzi della Voltron Force vogliono festeggiarlo comunque, ma a modo loro e a qualcuno la cosa sfugge un po’ di mano.
Genere: Erotico (ma, neanche tanto)
Coppia: Keith/Lance
Avvertimenti: Yaoi
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“Eccoci al giorno fatidico”, proclamò Shiro con fare solenne davanti alla Voltron Force riunita in… uno sgabuzzino, non altresì ben definito, ma ampio a sufficienza da contenerli tutti.
Tutti, tutti sì, tranne uno: Keith.
“Dunque truppa, sono giorni che ci prepariamo per questo, gli inconvenienti sono stati molteplici e in molti, moltissimi istanti abbiano sfiorato il fallimento, ma siamo qui oggi, ad un passo dal nostro obbiettivo e tutto, ripeto tutto, adesso deve procedere come stabilito. Non avremo un’altra chance, non prima di un anno almeno, quindi...” fissò la squadra in fila. “Coran, tra quanto avremo il pezzo?”
“Tra duecento tik, signore”, rispose l’interpellato battendo i tacchi.
“Perfetto! Hunk, Pidge a che punto siete con le riparazioni?”
“Basta inserire il pezzo mancante e possono dirsi concluse”, informò Hunk.
“Anche questa è fatta, bravissimi”, si complimentò il comandante dell’Atlas.
Pidge sospirò profondamente. “Non posso credere che lo stiamo facendo. Per carità… lo voglio quanto voi, ma… serve davvero a qualcosa organizzare tutto in questa maniera?”
“Non proprio”, rispose Shiro, “ma è divertente!”
“Si, infatti!” commentò il resto dei presenti.
Pidge sbuffò, roteando gli occhi: “Siamo la Voltron Force, non dovremo preservare almeno l’apparenza?”
“Certo”, “Ovvio”, dichiararono più di una voce.
“Per questo facciamo le nostre riunioni super segrete in un ripostiglio”, puntualizzò entusiasta, Romelle.
“Ecco! Mi ricordate perché abbiamo fatto decidere a Lance il luogo per gli incontri?”
“Nessun altro ha proposto idee migliori”, intervenne Allura.
“Sì”, “Già”, “È vero”, commentarono più voci, mentre Lance gongolava del suo successo.
Pidge alzò le mani arresa. “Ci rinuncio!”
“Bene, ora che anche questo è stato chiarito, torniamo a noi”, riprese Shiro. “Ripassiamo il piano: Romelle userà il colore alimentare per fare delle chiazze sul manto di Kosmo. Coran andrà a prendere il pezzo mancante, mentre Keith sarà distratto da Allura che gli chiederà perchè Kosmo ha quello strano colorito rossastro e… mi raccomando Kosmo, questa volta non leccare il colorante, devi aspettare che Keith ti veda, intesi?”
Un “Woff” indicò che il Lupo cosmico stava ascoltando, non che fosse concorde, ma… almeno stava ascoltando.
“Speriamo bene!” commentò Pidge, subito ammonita da una spallata di Lance e dal “Shhh!” di Hunk sibilato troppo vicino alle sue orecchie.
“Ahi!” protestò, guardando male i Due.
“Niente insubordinazioni, ragazza mia”, disse Coran, “abbiamo lavorato tanto per arrivare fin qui, non possiamo rischiare tutto proprio ora!”
“Quindi”, riprese Shiro, richiamando l’attenzione dei presenti, “Romelle colorerà Kosmo. Coran prenderà il pezzo e lo consegnerà ad Hunk e Pidge, mentre Allura e Kosmo distrarranno Keith. Terminate le riparazioni, io assegnerò Keith il più lontano possibile dai nostri traffici e Lance dovrà assicurarsi che non termini l’incarico troppo velocemente. Pidge, non appena io le darò il via libera, porterà l’oggetto X da Allura che lo impacchetterà a dovere. Una cosa importante Allura, Keith adora il dorato e le coccarde.”
“Tanto oro e una bella coccarda, capito”, dichiarò sicura l’alteana.
“Ottimo”, riprese Shiro, “A questo punto Romelle ripulirà Kosmo. Allura consegnerà il regalo a Lance e ognuno di noi potrà ritenersi libero di fare quel che desidera tranne Lance, appunto, ed Hunk. Tu Hunk avrai il compito di controllare il forte. Keith non riterrà strano vederti preparare qualcosa nella cucina che dà sulla Hall. Non appena lo vedrai uscire, cosa che sappiamo farà come sempre in questo giorno, avviserai Lance. Lance tu dovrai chiudere il cerchio. Keith non tornerà prima che questa giornata sia conclusa, quindi hai tempo fino a mezzanotte per posizionare il regalo dove possa trovarlo al suo ritorno. Ricordati che nei giorni passati, Keith ha assunto atteggiamenti particolari e non sappiamo cosa troverai nella sua stanza, quindi preparati al peggio.”
Lance annuì deciso. “Non vi deluderò.”
“Perfetto!” riprese il comandante, “a quel punto e, solo a quel punto, potremo dire la nostra missione conclusa. Tutto chiaro?”
“Sì, comandante!” dissero all’unisono.
“Bene, chiudiamo la riunione e diamo il via all’operazione Regalo.”
“Un… un attimo!” intervenne Pidge, improvvisamente agitata, dopo aver ripassato mentalmente le fasi del piano. “Il biglietto. Ci stiamo dimenticando il biglietto!”
Un’ombra di puro terrore calò sui presenti.
“Ok, non disperiamo…” cercò di placare gli animi Shiro, mentre un vociare sommesso dilagava nello sgabuzzino.
“Non disperiamo?” Esordì nervosissimo Coran, impallidendo, tenendosi il volto tra le mani. “Come possiamo non disperare? Un regalo non è un vero regalo senza un biglietto.”
“Lo farò io. Posso farcela!” dichiarò Romelle decisa, portandosi una mano al petto, “lo farò prima che Allura incarti il regalo.”
“No! Non va bene, tu devi necessariamente sistemare Kosmo. Se fa da solo rischiamo che gli prenda un’indigestione, ti ricordi nelle prove? Meglio pulire Kosmo che il pavimento dalla… ehm… roba di Kosmo”, fece notare Hunk, portandosi le mani tra i capelli. “Non ce la faremooo!”
“Oltretutto, Romelle, tu non conosci così bene Keith e dobbiamo fare in modo che non pensi sia il suo regalo di compleanno, anche se in effetti è il suo regalo di compleanno, ma non deve pensare che vogliamo festeggiarlo, o per meglio dire vogliamo festeggiarlo, ma non festeggiare il suo compleanno. Se non spieghiamo bene le nostre ragioni in quel biglietto, Keith si arrabbierà terribilmente e otterremo il risultato contrario a quello che desideriamo. Cavolo è complicata, ragazzi!” commentò Lance, demoralizzandosi sempre più, pian piano che il discorso procedeva.
“Fermi”, tornò a parlare Shiro, “Hunk e Lance hanno ragione. C’è solo una cosa da fare: ci penserò io. Conosco Keith e ho tutto il tempo per scrivere un biglietto dopo aver assegnato gli incarichi. Lo consegnerò a Lance dopo che Keith sarà uscito, metteremo insieme il tutto e il gioco sarà fatto.”
“Ok”, “Sì”, “Sembra una buona idea”, “Può funzionare”, commentò la truppa, tirando un sospiro di sollievo.
“Ultima domanda”, disse ancora Pidge, alzando la mano.
Shiro le fece cenno di parlare.
“Se tutti noi siamo qui, Keith non si domanderà che fine abbiamo fatto?”
A quel dire, nuovo terrore imperversò nello sgabuzzino.
Fortunatamente, Keith stava allenandosi e non notò la loro assenza.
Il tempo che il ragazzo impiegò per tornare in stanza e farsi una bella doccia, che il piano ebbe inizio.
“Speriamo davvero che vada tutto bene”, si fece sfuggire Pidge che, con Allura, attendeva che Romelle terminasse di sistemare Kosmo.
“Tranquilla”, le sorrise la principessa, posandole una mano sulla spalla, “Vedrai, non solo andrà bene, ma benissimo!”
Lei le sorrise di rimando. “Hai ragione, solo… ci tengo davvero molto, sai? So che posso essere sembrata l’uccello del malaugurio, ma è proprio perché desidero che sia tutto perfetto. Se lo merita.”
“È quello che vogliamo tutti.”
“Il fatto è che… è davvero dura riuscire a far felice Keith o capire cosa gli piace davvero. Da quando è tornato, abbiamo ha fatto il possibile per rimediare a quanto è avvenuto in passato. Ha fatto di tutto per tenerci uniti. Certo, non sempre era la cosa giusta, ma non ha mai mollato e…”
“…Ed è giusto ricambiare.”
“Già, ma non solo. Shiro non fa che ricordarci quanto tutti siamo importanti per la squadra, che se anche uno soltanto di noi dovesse vacillare, ne risentirebbero tutti; che siamo sullo stesso piano, in perfetta parità, e… Keith, pur non essendo esattamente un tipo sociale, non ha mai saltato uno dei nostri compleanni. Non solo ha aiutato, ha fatto il massimo per renderli speciali. Magari poi è stato in disparte, ma… è giusto fare altrettanto, non solo per ricambiare il favore, ma per dimostrargli che ci teniamo, che è importante per noi.”
Allura annuì convinta. “Malgrado gli alti e bassi del esserci trovati costretti a vivere insieme, siamo ancora tutti qui e ognuno ha fatto, e fa, la sua parte. Alcuni come Keith e… come te, Pidge, hanno dovuto fare uno sforzo maggiore, trovandosi a dover cambiare totalmente le proprie abitudini, a dover rivoluzionare i loro progetti. Non è stato facile mettere da parte l’orgoglio per lavorare insieme, trovarsi a seguire le priorità del gruppo a discapito di quelle personali. Accantonare i dissapori e dare fiducia a coloro che, almeno inizialmente, erano perfetti estranei. No, non è stato facile per nessuno, ma alla fine siamo diventati una famiglia e in una famiglia tutti sono importanti, tutti devono essere rispettati e devono sapere quanto li amiamo, anche quel testone di Keith con l’assurda fobia per il suo compleanno.”
Pidge sorrise amaramente. “Non è poi tanto assurda sai? La data del suo compleanno si è sempre accostata a situazioni poco piacevoli. Ho costretto Shiro a parlarmene e non con le buone”, specificò, ritrovando un po’ d’ironia. “Ma anche non fosse così, Keith non ama festeggiare il suo compleanno e non è giusto costringerlo a farlo. Lo conosciamo, sappiamo che non ne sarebbe felice, per questo sono tanto preoccupata. Ci stiamo muovendo su un campo minato, ma… è anche vero che, se siamo stati tutti d’accordo nel fare questo regalo, è perché non abbiamo molte occasioni per dimostrargli quanto lo amiamo. Keith non vuole festeggiare e non lo festeggeremo, ma deve sapere che ci siamo sempre per lui, che pensiamo a lui anche quando non vorrebbe. Non so se sono riuscita a spiegarmi.”
Allura le sorrise con dolcezza. “Sicura di non voler scrivere tu il biglietto per Keith? Anche solo con la metà di quello che hai detto, verrebbe eccezionale.”
Pidge sfarfallò gli occhi, intimidendosi alle parole dell’amica, quando…
“Allora, che ne dite?” domandò Romelle, arrivando con un Kosmo, totalmente… rosa. “Forse mi sono fatta prendere un po’ la mano, ma… non è adorabile?”
“Solo forse, Romelle?” commentò Pidge, quasi senza respiro.
A Keith sarebbe preso un colpo!
Altro che regalo, dopo questo, per farsi perdonare, avrebbero dovuto impacchettargli direttamente le loro anime o prendere in seria considerazione di cambiare nomi e lineamenti.
E… a Keith un colpo prese davvero.
Per un attimo Allura temette di essersi fatta partecipe della morte prematura del ragazzo: Keith, ad occhi spalancati, aveva boccheggiato senza fiato e qualcosa le aveva suggerito che avesse perso almeno un paio delle sue nove vite, ma… il resto procedette a meraviglia.
Regalo sistemato e impacchettato, biglietto pronto e, puntuale come un orologio, Keith uscì poco prima di cena.
Rimaneva solo da portare il regalo in camera e sistemarlo in modo che lo trovasse una volta tornato, ma non tanto velocemente da avere ancora i vestiti indosso e decidere che fosse una buona cosa andare a fare a tutti loro una lavata di capo ancora prima di leggere il biglietto; questo compito, come pattuito, spettava a Lance.
Lance non poteva sbagliare, aveva studiato quella parte alla perfezione.
Doveva entrare, sistemare il pacchetto e andare via.
Cinque minuti in tutto.
Una passeggiata, mica come quello che aveva sofferto quel pomeriggio!
Gli era toccato inventarsi di tutto per evitare che Keith (un Keith furioso, talaltro!) finisse prima il suo incarico, dopo che Romelle aveva colorato Kosmo di rosa.
Un bel punto di rosa, questo doveva ammetterlo!
Non appena ebbe pacchetto e biglietto tra le mani, Lance li portò in camera di Keith.
Tutto come da programma, tutto. Bastava accendere la luce e… qualcosa mandò, letteralmente, Lance a gambe all’aria, mentre cercava l’interruttore.
Aveva fatto un solo passo all’interno della stanza da quando la porta si era chiusa; uno solo, oltre il rettangolo di luce che poco prima illuminava il pavimento. Un passo, ma sufficiente a farlo inciampare.
Arrancò fino l’interruttore, trovandosi di tutto sotto le mani: oggetti di diversa consistenza e non esattamente profumati.
E dire che Shiro l’aveva avvisato!
Accese la luce.
I vestiti di Keith erano sparsi un po’ ovunque sul pavimento.
Normalmente il capitano era estremamente ordinato, tanto che la sua stanza appariva quasi asettica, ma ogni anno intorno a quella data, qualcosa in lui cambiava.
Lance non sapeva quali ferite affliggessero Keith, ma una cosa era certa, non stava bene e tutto quel disordine era solo uno dei sintomi.
Abiti puliti e sporchi, mischiati alla rinfusa, erano abbandonati dove capitava e lo stesso valeva per scarpe, cinture, qualche lattina di birra e alcuni cartoni della pizza non del tutto vuoti. Perché c’era anche questo da considerare: ovvero, da una settimana circa, prima del ventitré ottobre, Keith cominciava a comportarsi nuovamente da asociale. Diceva di essere stanco, di volersene stare per conto proprio (“questo” quando parlava e non grugniva), tanto da smettere di mangiare con la squadra, preferendo starsene chiuso in camera.
“Ci credo che Kosmo preferisce stare da Hunk in questi giorni!” Commentò con amarezza.
Vedere tutto quel disastro gli fece male, perché, inutile girarci intorno, Lance e Keith si erano avvicinati molto, troppo per considerarsi ancora solo colleghi.
Avrebbe fatto davvero di tutto per lenire il dolore che affliggeva Keith. Temeva però che parlarne potesse peggiorare la situazione, ferirlo più di quanto già non fosse, e questa era l’ultima cosa che Lance voleva.
Fece un profondo respiro: non era il momento di amareggiarsi, aveva una missione da compiere. Una missione che sperava portasse un sorriso su quel muso lungo.
Inciampando, il regalo gli era sfuggito di mano e per prima cosa doveva ritrovarlo.
Era abbastanza sicuro che con tutti quegli indumenti in terra non potesse essere successo nulla al pacchetto, ma… si sbagliava.
Quel presente aveva ben pensato di rotolare proprio dentro un cartone di pizza: non solo si era sporcato, diventando appiccicaticcio all’inverosimile, ma la confezione si era spaccata.
“Almeno biglietto e coccarda sono salvi”, disse privo d’entusiasmo: non poteva certo consegnarlo in quelle condizioni.
I suoi amici ci tenevano tantissimo che tutto fosse perfetto e… anche lui.
Doveva rimediare: rimpacchettare il regalo, questo doveva fare, evitando che il resto della squadra se ne accorgesse.
Per fortuna mancavano ancora diverse ore alla mezzanotte e Keith non era mai tornato prima: sembrava desiderasse affogare i suoi dispiaceri lontano da tutto e tutti, in completa solitudine. Se negli anni passati questo aveva riempito il cuore di Lance di amarezza, questa volta avrebbe giocato a suo vantaggio.
Oltretutto, quanto poteva metterci Lance a trovare un’altra scatolina, altra carta regalo e… adesivi a forma di gatto?!
Ok, questa era la riprova che non era saggio lasciare che una ragazza confezionasse il regalo per un ragazzo!
Almeno non era cosparso di cuoricini rosa.
Se Keith avesse visto qualche altra cosa “rosa” in quella giornata, probabilmente sarebbe impazzito del tutto!
Keith era seduto al bancone del bar con un liquore tra le mani e poca voglia di guardare altro, oltre al suo bicchiere.
Non ricordava da quanto fosse lì, ma dovevano essere passate diverse ore visto che lo stomaco cominciava a farsi sentire. Il proprietario del locale tollerava ancora la sua presenza perché era un cliente abituale, anche se non c’era mai andato da solo prima e, soprattutto, non aveva mai bevuto tanto. Forse prendere qualcosa da mangiare non sarebbe stato male, quanto meno l’avrebbe fatto apparire meno… disperato; perché era abbastanza sicuro che fosse proprio l’immagine di un tizio sciatto e disperato quella che gli rimandava lo specchio dietro il bancone.
Malgrado tutto però non aveva troppa voglia di mangiare.
“Mal d’amore?” domandò il barista dopo avergli riempito di nuovo il bicchiere.
Keith si limitò a rilanciargli un sorriso tirato, senza guardarlo veramente.
La verità, però, era un’altra: quello era il giorno del suo compleanno e lui non amava quel giorno. Quando era piccolo, gli altri bambini festeggiavano con la loro famiglia e anche lui avrebbe voluto fare lo stesso, ma Keith aveva solo il papà. La sua mamma, lei… non c’era. Lo aveva lasciato solo con suo padre quando era ancora in fasce.
Da bambino credeva che sarebbe tornata, che tra tutti giorni dell’anno avrebbe scelto proprio il suo compleanno: sarebbe arrivata, gli avrebbe fatto gli auguri e gli avrebbe detto che sarebbe rimasta per sempre e quello… quello sarebbe stato il regalo più bello di tutti.
Poi, anno dopo anno, aveva cominciato a maturare l’idea che non solo sua madre non sarebbe tornata, ma che, se era andata via, doveva essere stato proprio a causa sua. Forse per il suoi strani occhi o per quei capelli che non avevano un verso, forse per la voce acuta che aveva da piccolo, non poteva saperlo con esattezza, ma era certo che le era bastato uno sguardo: l’aveva visto e l’aveva tanto nauseata che aveva preferito scappare lontano piuttosto che essere costretta a stargli accanto.
Era avvenuto così che il giorno della sua nascita era diventato il giorno che la mamma aveva deciso di abbandonarlo.
Scioccamente aveva lasciato crescere i capelli così che avessero una forma, in modo che nessuno potesse notare i suoi occhi viola sotto la lunga frangia nera e aveva iniziato a parlare sempre di meno fino ad arrivare ad esprimere solo l’essenziale.
Magari chissà, in qualche modo sua madre avrebbe saputo quanto era cambiato e… era solo un bambino infondo e, malgrado tutto, sperava ancora che lei tornasse.
Festeggiare non era però così terribile all’inizio: alla fine c’era sempre la torta, tante cose buone da mangiare, tanti, tantissimi regali da scartare e, cosa più importante di tutte, c’era sempre il suo papà.
Il suo papà che faceva di tutto per non fargli sentire la mancanza della mamma.
Poi però, anche suo padre lo aveva lasciato. Se ne era andato e nel modo più brutto: era morto, se ne era andato per sempre.
Così quel giorno cominciò a ricordargli anche che non c’era più suo padre a rendere quella giornata felice. Non c’era più il suo papà a farlo sentire speciale, a ricordargli che non era solo; a dirgli che quello era il giorno più bello della sua vita, il giorno in cui si erano visti per la priva volta.
Solo il cielo sapeva quanto Keith avrebbe voluto avere la forza di festeggiare quello stesso motivo, ma… il dolore era troppo.
Troppo da affrontare da solo.
Troppo per riuscire a dividerlo con altri.
No, non amava il suo compleanno, non faceva che sbattergli in faccia tutto quello che aveva amato e che gli era stato portato via.
Rifare il pacchetto aveva fatto perdere a Lance più tempo del previsto: a quanto sembrava non esisteva più nessuna carta dorata in tutta la base. Era dovuto andare fino in città per trovarne. Alla fine l’aveva ottenuta, ma ci aveva messo davvero un eternità tra andare e tornare.
“L’ultimo tocco ed è fatta!” disse, terminando di decorare il regalo con la coccarda sopravvissuta. “Perfetto!” concluse, rimirando il suo lavoro, infilando tra i nastri il biglietto di Shiro.
Poteva andare, mancava più di un’ora a mezzanotte, ma… meglio non rischiare.
Si fiondò rapido fuori dalla porta e…
“Ciao Lance, come è andata? Sistemato il regalo?”
Per un soffio riuscì a nascondere il pacchetto sotto la giacca.
“Ovvio!” mentì spudoratamente ad Hunk, ma… che altro poteva fare?
“Piuttosto, cosa fai in giro a quest’ora? Non vorrai farti vedere da Keith, vero?” domandò, sicuro che bastasse a spaventare l’amico ed a farlo fiondare in camera.
“Già, ma… sai, non ho sonno e sappiamo che Keith non rientrerà prima di mezzanotte. Sempre che rientri…” davvero? Hunk non temeva di mandare tutto all’aria… possibile? “Ricordi? Un paio di compleanni fa, quando siamo andati a ripescarlo la mattina dopo su… come si chiamava quel pianeta?”
“Protesser”, rispose, “ed era una luna.” Pensare a Keith, normalmente tanto forte, spaesato al punto da non sapere dove fosse finito, gli strinse lo stomaco.
Hunk stiracchiò un sorriso, prendendo il latte dal frigo. “Mi dispiace, sai? Penso non gli faccia bene starsene da solo. Dovrebbe distrarsi, riuscirebbe ad affrontare meglio la cosa, qualunque cosa essa sia, ma…”
“È un testone, Hunk. Un terribile testone e non possiamo farci nulla. Possiamo solo sperare capisca che… ci siamo e ci saremo sempre per lui, anche quando si comporta da perfetto idiota, come in questo caso.”
“Gli abbiamo fatto quel regalo proprio per questo, no?”
Ancora Lance si trovò ad annuire, sentendo più impellente la necessità di svincolare da quella conversazione e portare il pacchetto dove avrebbe già dovuto trovarsi.
“Comunque, Lance… tu? Che ci fai in giro?”
Gli occhi del cubano si spalancarono. “Io? Dici a me?” disse indicandosi.
Hunk sollevò un sopracciglio. “Vedi altri Lance da queste parti?”
“No, ovvio?” tentò di riprendersi, avvicinandosi all’amico. “Ero sovrappensiero. Tutta questa storia: Keith, il regalo, Deringer…”
“Deringer?” Domandò Hunk perplesso.
“Der… no, Protesser? Dai, è una luna e sta lì vicino. Mi sono confuso di poco.”
“Non mi sembra così vicina, ma…”
“Ok, ho sbagliato, vuoi uccidermi per questo?” incrociò le braccia con fare stizzito, prima di sentire il regalo scivolare. Infilò la mano nella tasca della giacca appena in tempo. “Volevo prendermi qualcosa da bene e tornarmene in stanza, proprio come te. Perché… sei qui per questo, no?” domandò ancora, prendendo del succo d’arancia dal frigorifero, cercando di non sembrare troppo agitato.
“Sì, effettivamente. Volevo mandarti un po’ nel panico, ma… sei più teso di quanto pensassi. Capisco essere nervosi, dopo tutto quello che abbiamo fatto, ma… hai ancora la giacca addosso, sembri essere appena tornato da un giro in moto?”
“Un gir… cosa? Ti sembro uno che ama andare in moto?”
“Lance, amico”, disse, posandogli una mano sulla spalla, “non vorrei essere io a dirtelo, ma tu adori andare in moto. Vatti a riposare, sei davvero troppo agitato.”
“Già. Bevo questo succo e ti seguo a ruota.”
Hunk annuì soddisfatto e si diresse verso la sua stanza.
Lance attese che la porta si chiudesse, prima di rinfilare la bottiglia nel frigo con l’intenzione di lanciarsi poi verso la stanza di Keith.
“Sicuro che non fosse Garbin?”
“Ihhh!” squittì Lance, neanche fosse uno scoiattolo, sobbalzando e dando di testa contro un ripiano del frigo.
Hunk si era riaffacciato, facendogli scoppiare il cuore.
“Protesser. Era Protesser ti ho detto!” rispose affannato, fuori di sé per lo spavento.
“Ok, non c’è bisogno che ti arrabbi”, lamentò Hunk, rientrando nella stanza.
Lance attese qualche secondo in più, attento al più piccolo rumore, prima di accostarsi alla porta di Keith ed entrare.
Accese la luce prima di muoversi.
Ma… che diamine aveva?
Era bassa, soffusa rispetto a qualche ora prima. Probabilmente Keith l’aveva programmata in modo che non infastidisse lo sguardo durante la notte, se ne avesse avuto bisogno.
Poco contava infondo, l’importante era che fosse sufficiente a vedere dove mettere i piedi.
Schivò vestiti, cartoni, lattine e… qualcosa che (non ne era sicurissimo) gli ricordava la carcassa di un triceratopo (cucciolo naturalmente), almeno dall’odore. Non che Lance avesse mai annusato la carcassa di un triceratopo, ma era abbastanza sicuro che dovesse puzzare proprio come la biancheria sporca di Keith (o forse era davvero un mucchio di panni sporchi).
Arrivò al letto.
L’idea era di metterlo da quelle parti, così che Keith lo trovasse prima di andare a dormire.
Il posto migliore era sicuramente sotto il cuscino. Senza rifletterci troppo, sollevò il guanciale, mise il regalo e riposizionò tutto com’era prima, quando un dubbio lo raggiunse: e se Keith fosse crollato appena messa la testa sul cuscino?
Non avrebbe visto il regalo.
Non poteva rischiare: meglio metterlo sopra.
Tirò il regalo da sotto il cuscino, troppo nervoso per metterci qualche premura e si ritrovò in mano il pacchetto perfetto, ma… senza coccarda.
Si maledisse in tutte le lingue che conosceva.
Tentò di sistemarla, ma senza successo: l’adesivo era andato.
Non c’era nulla da fare: non aveva un’altra coccarda e non sapeva dove cercarla a quell’ora.
Sospirò tristemente. L’unica cosa che poteva fare era farla sparire e, per evitare di dimenticarla nella stanza, se l’incastrò sull’orecchio.
Doveva calmarsi, non voleva rovinare di nuovo il pacchetto: per evitare altri incidenti lo posò tra le cianfrusaglie sul comodino. Avrebbe controllato la situazione e sistemato il regalo una volta deciso dove metterlo.
“Forse avrebbe fatto meglio mangiare davvero qualcosa”, pensò Keith, dopo l’ennesimo bicchiere.
Cominciava a sentirsi un po’ brillo (anzi, togliamo il po’), meglio non esagerare, non voleva ritrovarsi come quella volta in cui i ragazzi erano andati a riprenderlo su un satellite di Gordian. No, meglio tornarsene a casa, prima che dimenticasse da che parte fosse.
Lance stava riprendendo fiato, quando sentì la porta aprirsi.
Non fece in tempo a realizzare la cosa che si trovò davanti all’unica persona che non doveva essere lì.
“Keith”, salutò, sudando freddo. “Tornato prima?”
Doveva trovare una buona scusa?
Keith corrugò la fronte. “Che ci fai in camera mia?”
“Beh, vedi… c’era questa puzza, no?” cominciò a raffazzonare scuse. “E ho pensato: cavoli, e se Keith fosse morto da giorni…”
“Ci siamo visti stamattina, Lance”, l’interruppe lui, inizialmente atono, “come potevo essere morto da giorni e… è una coccarda quella che hai tra i capelli?”
Era fregato! Proprio in testa se la doveva mettere quella cavolo di coccarda?
Sospirò rassegnato. “Ok, inutile girarci attorno. Non ami festeggiare, ma ci tenevamo tutti a farti un regalo, e… anche io”, spiegò dispiaciuto. “Quindi… eccolo!” concluse facendo spallucce e volgendo appena lo sguardo verso il comodino.
Keith sollevò un sopracciglio. “Sul serio?” l’assalì senza volere: possibile che Lance stesse davvero dicendo quello che… sembrava stesse dicendo?
Lo sguardo di Lance sussultò. “Non arrabbiarti. Volevo che tutto fosse perfetto, solo… sei arrivato prima.” Prese un profondo respiro. Sorrise, sperando che fosse sufficiente a farlo desistere dal fare scenate e, tentando di rimediare, l’esortò: “Cosa aspetti, non scarti il tuo regalo?”
Gli occhi di Keith si assottigliarono, squadrò Lance dalla testa ai piedi, prima di tornare a fissarlo in viso e muoversi verso di lui.
Più di un brivido percorse la schiena di Lance. L’istinto gli suggerì di fuggire. Non voleva e non lo fece, ma si ritrovò ad inghiottire a vuoto, sentendosi illogicamente una preda, quando Keith gli fermò vicino. Troppo vicino, mentre quegli occhi incredibili indagavano nei suoi fino a scrutargli nell’anima.
Lo vide accennare un ghigno, fare spallucce e… fu un attimo: gli affondò una mano tra i capelli, lo tirò a sé e lo baciò.
Colto alla sprovvista, Lance rimase imbambolato. Lasciò che quel bacio lo invadesse, mentre Keith gli faceva scivolare la giacca dalle spalle, cominciando a… scartarlo.
Quando lo stupore si affievolì, l’errore fu chiaro: il regalo sul comodino doveva essere invisibile dalla visuale di Keith.
Aveva un buon sapore Lance, pensò Keith, mentre lo baciava.
Perché lo stava facendo?
Si sentiva male, ecco perché. La tristezza si era fatta largo in lui, giorno dopo giorno, e aveva desiderato di non pensare. Era così stanco di stare solo e… Lance si era offerto, non gli dispiaceva il genere e, quando non faceva il cretino, non era affatto male.
No, non andava bene!
Keith era brillo e, probabilmente, non si rendeva davvero conto di chi avesse tra le mani e… accidenti proprio a quella mano sotto la maglietta che sembrava sapere esattamente come toccarlo per… no! Lance doveva fermare quella cosa.
Era assurdo, troppo assurdo, ma… era il compleanno di Keith e forse era un po’ colpa sua se si trovavano in quella situazione. Doveva risolverla, ma senza litigarci, non quel giorno almeno.
La prima cosa da evitare era starnazzare come un’oca isterica.
Era solo un bacio, infondo, poteva gestirlo.
“Keith…” tentò di spiegare tra un bacio e l’altro, “il regalo… non…”.
“Il regalo… giusto”, sussurrò l’altro sul filo delle labbra, prima di sfilargli la maglietta e scivolargli lungo il collo con piccoli morsi.
“Sì… il regalo… sul comodino…” provò ancora, mentre le dita di Keith cominciavano a sbottonargli i jeans.
“Non mi piace sul comodino, preferisco il letto.” Lo spinse contro il materasso, mentre la mano scivolava ad accarezzarlo sotto la cintura, tanto mozzargli il respiro.
“Keith... non…” cercò di protestare, azzittito da un nuovo bacio.
La mano che scorreva il suo membro tra le dita ottenne l’effetto desiderato, rubandogli un gemito soffocato.
“Lance…” chiamò eccitata la voce di Keith mentre lo spingeva tra le coperte.
Le labbra di Keith scesero lente sulla sua pelle e le mani non sembravano volersi fermare.
“Keith… c’è… un grosso… m…”
La lingua di Keith scivolò a saggiargli l’addome, soffocando ogni suo intento in un lamento eccitato.
“Notevole… in effetti!”
A Lance sfuggì quell’ironia, mentre Keith tornava a leccarlo. Scese con la lingua lungo la sua erezione, tanto da strappargli un nuovo gemito.
Abbassò lo sguardo. “No, Kei…” tentò ancora, sentendosi mancare la voce. Sgranò gli occhi nello scorgergli le labbra chiudersi intorno al suo membro, nel sentirlo scendere, prendendolo in bocca e cominciando a succhiarlo.
La gola liberò un lamento troppo intenso per essere trattenuto.
Era davvero in tempo per fermarlo?
Voleva fermarlo?
“…Non”, sospirò, posandogli una mano tra i capelli, accompagnandolo in quella carezza, “non… così… veloce…” sussurrò compiaciuto, prima di perdersi del tutto nelle premure dell’altro.
Si sentiva ancora un po’ stordito, Keith, quando si svegliò.
Il ricordo della notte passata arrivò intorpidito dalla sensazione morbida dell’appagamento.
Era lucido in quel momento più della sera prima, ma… non si sentiva pentito di quanto avvenuto.
Era stato bene, questa era la verità
La sveglia, come sempre, si destò dopo di lui.
Quel Bi-bip fastidioso, lo distrasse dal suo pensare.
Lance ancora dormiva e si sbrigò a zittire la suoneria. Non voleva disturbarlo: aveva abusato parecchio del suo regalo di compleanno quella notte.
Ritrasse la mano dalla sveglia e lo sguardo scovò un pacchetto con un biglietto e… “Il regalo… sul comodino”, scandì la sua mente, non così annebbiata la notte prima da non ricordare quelle parole.
Gli piombò addosso la consapevolezza che doveva esserci stato un piccolo malinteso.
Lance si mosse tra le coperte.
No, non c’era nulla di piccolo in quanto era successo.
Il danno era fatto: avrebbe dovuto inventarsi qualcosa d’assurdo per farsi perdonare da Lance, o… avrebbe potuto benissimo continuare a far finta di nulla, non si era sognato i gemiti e la voce soffocata nel cuscino che lo supplicava di non fermarsi, di continuare.
Prese il biglietto. Scorse parola dopo parola, sentendosi riscaldare.
Scartò il regalo. Lo stupore gli illuminò lo sguardo.
Sentì frusciare le lenzuola prima che le braccia di Lance si avvolgessero attorno alle sue.
“Ti piace?” gli sussurrò.
“Come… avete fatto?”
“Nulla è impossibile quando hai un Coran”, ironizzò Lance
Keith lo baciò di getto, spingendolo nuovamente tra le coperte.
“Ti piace davvero?” domandò Lance, appena le sue labbra glielo permisero.
“È fantastico!” esordì sincero. “Ma… anche l’altro non è affatto male.”
Le labbra di Lance si piegarono in un sorriso complice. “Allora… tanti auguri, Keith!”
“Shhh!” l’interruppe lui, divertito, “I regali non parlano!”