Mar. 12th, 2019

lancethewolf: anatra col guscio da tartaruga (Default)

Titolo: Una notte troppo lunga, cap. 3 (Ultimo capitolo)

Cow-t 9, Quinta settimana, M1.
Prompt: “Scontro”
Numero parole: 9970
Rating: Giallo
Fandom: Saint Seiya

Introduzione: Gli anni passano, i cavalieri cambiano, i nemici cambiano, ma non il loro nobili ideali.
Genere: Azione; Urban Fantasy; Sovrannaturale
Coppia: Nessuna
Avvertimenti: Contenuti forti; Violenza

 

--- --- ---

 

Zoe e Adrien raggiunsero rapidamente i tre ragazzi al centro dell’enorme meridiana, mentre l’ultimo dei demoni traditori scompariva.

“Un po’ di respiro, finalmente!” esordì il Cavaliere della Freccia, ritrovandosi spalla a spalla con l’amico.

“Ti sono mancato?” ironizzò Adrien facendogli l’occhiolino, abbassandosi sotto la carica di un attaccante, sollevandolo letteralmente, usando solo la sua forza fisica per proiettarlo di alcuni metri oltre i suoi compagni, contro dei nemici che tentavano lo stesso tipo di approccio.

“Puoi dirlo forte, vecchio mio!”, commentò Eros

“Uomini!” sbuffò Cassiopea poco distante.

 

Di chi sono figlia”, si disse Natalija per una manciata di secondi indifferente allo scontro che le vorticava attorno.

Come poteva Waah, il demone appena scomparso, sapere di chi fosse figlia?

Crono probabilmente li aveva controllati a lungo prima di attaccarli, ma… non era quello il punto: quei tre Algar avevano rischiato tutto favorendoli ed era certa che in quelle parole si dovesse celare un aiuto di qualche tipo, ma quale?

Di chi sono figlia…”, ripeté lentamente, soppesando ogni singola parola nella sua mente, mentre il pensiero scorreva sulle persone che le erano più care, fino a sua madre, alle sue peculiarità di cavaliere e… suo padre.

Gli occhi della ragazza si sgranarono a quella improvvisa rivelazione. Suo padre non era un cavaliere, eppure aveva sempre superato ogni aspettativa. Erano stati molte cose i suoi genitori, bambini soldato, assassini, superspie, vittime di un progetto segreto al servizio dei corpi speciali dell’ONU… erano stati molte cose, ma non avevano mai mollato e certo non avrebbe mollato lei solo perché privata momentaneamente del suo cosmo. Già, momentaneamente!

Guardò Crono e il libro che stringeva a sé.

Il pensiero di suo padre ancora vivido nella mente; istintivamente le mani si mossero sotto le protezioni dell’armatura, fino a sfiorare le tasche della sua undersuit, quelle tasche cucite appositamente per essere invisibili agli occhi di chi non sapesse dove guardare, vi affondò le dita e strinse i pugni attorno a quei minuscoli oggetti ricolmi d’opportunità e ricordi. Strinse i pugni con ritrovato vigore e dichiarò a voce sommessa, più a se stessa che ai compagni che le erano accanto: “Vado.”

“Cosa?” chiese Zoe, in quel momento la più vicina.

“Vado a prendere quel maledetto libro, copritemi”.

“Che diamine dici, tra noi e Crono ci sono centinaia di demoni e quel pazzo continua a evocarne”, le fece notare Eros, abbassandosi e schivando un nemico, che privo del suo bersaglio stramazzava a terra, ridotto all’impotenza da un gomitata assestata in piena schiena dal Cavaliere dell’Altare.

“Vado ho detto, posso farcela. Voi toglietemene il più possibile da dosso.”

“Ma Nat…” Tentò di farla ragionare Zoe, frustando l’aria con la sua catena che se pur svotata dal cosmo non era certo meno delicata contro gli avversari.

“Ce la faccio” rincarò la Corona Boreale

“Vai!” disse improvvisamente Dafne. “Se hai un asso nella manica vedi di usarlo e anche in fretta. Ti copro io.” Il Cavaliere di Cassiopea assestò un violento calcio al volto dell’ennesimo avversario, atterrandolo e strizzando un occhio alla compagna nel tornare in posizione.

Natalija annuì decisa e si lanciò nella mischia.

Lo sguardo di Dafne cadde sulla faccia stupita di Adrien e Eros. “Mi fido di Rainbow Dash e allora? Quella ragazza è piena di risorse, non dimenticatelo”, li riprese con solita spavalderia.

 

Natalija nel suo slancio ripassò mentalmente non solo le arti di lotta apprese durante l’addestramento tra i ghiacci, ma ogni singolo giorno passato ad allenarsi con suo padre, coccolata dall’assoluta certezza dell’uomo che quelle tecniche, e quelle apparecchiature, studiate per chi non possedeva il potere delle stelle, prima o poi, le sarebbero state utili e, chissà, le avrebbero potuto salvare la vita.

Sorrise dolcemente a quel ricordo: forse quel giorno era arrivato!

 

Un gremito gruppo di Demoni le bloccava il passo, scivolò letteralmente tra le gambe del primo che le si parava davanti, stringendo tra le mani la certezza che non si sarebbero rivelati un problema, non avrebbero fermato la sua corsa. Ne eluse un secondo e, come le era stato insegnato dal genitore, attivò e rilasciò il primo dei suoi giocattoli esattamente al centro del gruppo.

Un disco non più grande di un una noce lampeggiò per un istante, prima di elettrizzare una piccola parte dell’area circostante, shockando i suoi avversari.

Suo padre non possedeva un cosmo, era vero, ma era una spia addestrata e un vero e proprio genio della micro-ingegneria bellica.

Un ghigno soddisfatto le si dipinse in volto, mentre l’intuito da spia, mai sopito, le indicava il percorso più rapido e scartabellava le strategie più valide per raggiungere il suo obbiettivo.

 

Un ghigno compiaciuto sfuggì alle labbra di Cassiopea, un ghigno che non avrebbe mai ammesso, ma dettato dalla consapevolezza che se c’era qualcuno che poteva farcela quella era Natalija; nessuno tra loro riusciva a ragionare alla velocità di quella piccola strega!

Il Cavaliere atterrò uno dopo l’altro una serie di Algar troppo impulsivi, muovendosi rapidamente, ponendosi nella traiettoria dei nemici intenti a bloccare l’avanzata della Corona Boreale.

Uno di quei maledetti demoni la costrinse a indietreggiare per schivarne l’attacco, ma Cassiopea riuscì comunque a sbalzarlo all’indietro senza permettergli di avvicinarsi all’amica, ruotando su se stessa e coprendolo con un calcio volante ben assestato prima di scattare in avanti per atterrare un altro demone con una gomitata mirata a spezzargli lo sterno.

 

Dafne era stata di parola, stava davvero coprendo le spalle a Natalija. 

 

Il Cavaliere della Corona Boreale superò un altro gruppo di nemici con una finta sapiente e un gadget da urlo, realmente da urlo: onde soniche a breve distanza sgretolarono i timpani dei suoi assalitori, riducendoli all’impotenza. Un altro gruppo le si fece sotto, troppo serrato tra loro per essere davvero un problema per lei. Una falciata alle gambe del primo, usato immediatamente dopo come trampolino per superarli agilmente, procedendo letteralmente sulle loro spalle per quel tratto.

Il tempo di rimettere i piedi in terra senza frenarsi di un solo centimetro o rallentare che avvertì qualcosa di tagliente sfiorarle il viso.

“Troppo vicino, bello!” La voce di Cassiopea; inconfondibile come il suo sorriso avventato. La guerriera bloccava con la sua frusta il polso del demone artigliato che aveva sfiorato Natalija.

A buon rendere!

Zitta e corri, Strega!” le intimò la mora, incassando un colpo al ventre e sputando sangue, troppo scoperta dopo quel salvataggio, ma… “Mossa sbagliata, amico.”

Povero demone”, pensò Natalija, conoscendo la compagna d’addestramento: quel piccolo incidente aveva reso Cassiopea solo più combattiva e pericolosa.

Alla ragazza in corsa non riuscì di vedere la contromossa di Dafne, ma fu abbastanza sicura che il corpo in armatura bianca e artigli scaraventato contro l’ennesimo demone che tentava di bloccarla fosse proprio il tizio che aveva osato colpire la sua amica.

 

Natalija evitò un paio di attaccanti in carica, abbassandosi d’improvviso e lasciando che capitombolassero oltre il suo corpo, si sollevò subito dopo pronta a riprendere la sua marcia, quando si trovò afferrata e sollevata da terra.

Uno di quei maledetti demoni era riuscito a prenderla alle spalle: sentì mancarle il fiato stretta nella morsa del guerriero.

 

Cassiopea non era distante, ma ancora impegnata nello scontro.

 

La Corona Boreale era immobilizzata, mentre altri demoni stavano avvicinandosi. Uno prima d’altri la fronteggiò pronto a colpirla, mentre era trattenuta e impossibilitata a difendersi.

Maledizione!” ringhiò il suo pensiero, mentre soppesava la prossima mossa, sperando di resistere a quel colpo che sembrava infattibile evitare.

Non pensarci nemmeno!” arrivò adirata la voce di Zoe, mentre la catena di Cefeo sferzava l’aria tra la compagna e il guerriero, interrompendo l’attacco.

Il demone fu costretto a prendere le distanze, mentre il cavaliere, rapida come era apparsa, avvolgeva le spire metalliche della sua arma attorno al collo dell’Algar che teneva bloccata Natalija.

“Ti conviene lasciare la mia amica se vuoi che non finisca male, Bellezza!”

L’Algar non se lo fece ripetere due volte.

 

“Ti devo un favore!” disse Natalija non appena i suoi piedi toccarono nuovamente il suolo.

“Naaa, vedi di ridarmi il cosmo e siamo pari!”

Zoe la guardò annuire e proseguire la corsa, schivando un demone dopo l’altro mentre le sue due compagne, catena e frusta, inesorabili, ne proteggevano l’avanzata.

 

“Sorprendente come al solito, la ragazza!” commentò Zoe trovandosi a fiancheggiare Dafne in quell’azione.

“Noi non siamo certo da meno!”

“Ovvio!”

Le ragazze si sorrisero complici, prima di dividersi per coprire più spazio possibile.

 

Più Natalija si avvicinava al libro e al suo possessore più demoni venivano evocati.

Per quanto le sue amiche proteggessero la sua avanzata, sperare che nessuno dei colpi avversari la raggiungesse era solo un’illusione; ciò nonostante, schivata dopo schivata, colpo dopo colpo, nonostante le ferite, il suo obbiettivo era ormai solo a pochi metri.

I demoni che si frapponevano tra lei e quel folle scienziato sembravano infiniti. Le si avventarono contro inesorabili, ma era ad un passo ormai, non poteva rinunciare.

Difendersi avrebbe dato tempo a Crono di preparare un’eventuale contromossa, non poteva rischiare, doveva tentare il tutto per tutto: incurante dei colpi inflittile, convogliò tutte le forze residue per annientare quel falso dio, mettendo tutta se stessa in quell’unico irripetibile tentativo.

 

Colpì.

 

Crono cadde all’indietro, lo Skulkur gli volò via di mano.

 

I demoni non terminarono il loro attacco; colpirono la ragazza irrimediabilmente, schiacciandola contro il terreno.

Zoe di Cefeo riuscì a svincolarsi dallo scontro e intervenne per difendere l’amica, cercando come poteva di sottrarla alla calca devastante di corpi e armature, ma…

Il libro”, gridò Natalija disperata, sofferente, mentre un calcio infieriva sul fianco. Nella testa solo la speranza che l’altra cavaliere capisse: non era lei la priorità, ma quel maledetto tomo.

Zoe, malgrado gli sforzi della compagna, non ne udì le grida, mentre l’ennesimo colpo alle costole costringeva Natalija a sbottare sangue e saliva.

Bastardo figlio di puttana!” inveì Cefeo accecata dalla rabbia.

 

Il libro stregato era caduto poco distante da Natalija. La vista le si offuscava, ma doveva recuperarlo. Si sporse per raggiungerlo contro l’ineluttabilità del fato: allungò il braccio tra il dolore lancinante e l’affanno del fallimento, mentre i colpi nemici continuavano a riversarglisi addosso; mentre più mani le si avvinghiavano attorno per impedirle di muovere anche un sol muscolo.

Un piede le bloccò la mano protesa, schiacciandola in terra. Gridò accecata dal dolore, mentre sentiva le ossa spezzarsi.

Troppe armature bianche si frapposero tra lei e lo Skulkur, coprendone la visuale, non prima però di aver tempo di scorgere i calzari di Crono fermarsi accanto al libro.

 

Il suo bersaglio era ancora vivo.

 

No, no, no!” rantolò ancora Natalija con l’ultimo alito di fiato che le restava nei polmoni.

 

L’illusione di quel regno senza tempo svanì in un vortice di colori, riportando lei, e non solo lei, dove il cielo era puntinato di stelle e la luna piena risplendeva alta oltre le cime degli alberi.

 

“Il parco? Ma… come è possibile?” pensò la Corona Boreale, mentre la battaglia, malgrado il cambio del terreno di gioco, sembrava ancora lontana dal cessare.

Maledetti Cavalieri d’Atena!” intimò la voce dell’uomo che aveva appena visto svanire il suo regno, mentre le mani di Dafne trascinavano Natalija fuori da quel groviglio di demoni, trattenuti da… “Immolazione del Re!” Le catene di Cefeo erano nuovamente pervase di vita cosmica.

 

“A quanto sembra, era sufficiente farglielo cadere di mano!” constatò la voce di Cassiopea mentre portava Natalija al riparo dallo scontro. Depositò la ragazza ai piedi di un albero con estrema premura, contrariamente al suo solito.

“Sei stata brava, Principessa, ma ora pensa a riprenderti e lascia fare il resto ai professionisti!” Un ghigno da presa in giro si dipinse sulle labbra del cavaliere prima che andasse; la stessa Dafne che, pur millantando in continuazione di non aspettare altro che l’occasione giusta per lasciarla crepare, era lì a metterla al sicuro.

Dafne e la continua rivalità nei suoi confronti.

Dafne che credeva non sapesse di tutte le lacrime versate sulle pagine di vecchi romanzi per ragazze.

L’ironia della cosa avrebbe strappato un sorriso a Natalija, non fosse stato che le labbra le dolevano come se le fossero state strappate e il dolore al fianco le rendeva quasi impossibile respirare.

Devo avere un polmone perforato”, pensò, alzando faticosamente lo sguardo al cielo.

Le stelle brillavano di nuovo sulla sua testa.

 

L’energia delle costellazioni donava ai cavalieri poteri e capacità fisiche incredibili: li rendeva più forti, più resistenti. Gli dava la facoltà di guarire più rapidamente e risanare quelle che per altri erano considerate ferite mortali.

Natalija aveva subito però troppi colpi, che non le sarebbero stati fatali, non al momento, ma non si sarebbero neanche risanati tanto velocemente; qualche minuto di riposo non sarebbe bastato a farla riprendere, non questa volta.

La ragazza tornò con lo sguardo al combattimento.

Il mondo nascosto era stato rivelato: centinaia di guerrieri dall’armatura candida si scontravano in massa contro i suoi amici, cavalieri o meno.


Non erano più in tragico svantaggio: avevano riguadagnato la benevolenza degli astri e solo pochi avversari erano allo stesso livello dei tre Algar che lei aveva affrontato per prima in quello stesso luogo. 
Con un po’ di fortuna, avrebbero persino potuto vincere.

 

 Crono aveva riguadagnato lo Skulkur. Cercò qualcosa tra le pagine consumate del libro e incominciò a leggere. Qualunque cosa stesse tentando di fare, il furore della battaglia l’ostacolava: la luce che ammantava le pagine del libro, mentre recitava l’incantesimo, si affievoliva ogni volta in cui qualcosa interrompeva il ritmo delle parole salmodiate o se una soltanto di queste veniva pronunciata in maniera errata, costringendolo a ricominciare daccapo.

Rievocare il suo regno incantato si stava rivelando impossibile: l’incantesimo era troppo complesso e troppo lungo. La frustrazione crescente si unì alla consapevolezza che fosse tardi ormai, troppo tardi per imprigionare i cavalieri ancora una volta. Non poteva creare attorno a loro il suo mondo senza tempo, non erano creature dello Skulkur, dovevano essere condotti fisicamente in quel luogo, proprio come era stato costretto a fare la prima volta.

I Cavalieri d’Atena, tornati alla loro realtà, avevamo riacquistato tutti i loro poteri e, prima di poter fare qualunque cosa, Crono doveva sconfiggerli, non c’era altra alternativa. Prima però aveva bisogno di riorganizzarsi e si diede tempo nell’unico modo possibile: evocare demoni, sempre più demoni da frapporre tra lui e i suoi nemici, così da riuscire a fuggire con il libro e prepararsi a una nuova offensiva.

 

La falsa divinità convogliò così i suoi sforzi per quell’unico scopo, riuscendo ad allontanarsi sempre di più dallo scontro.

 

Sei solo un folle”, urlò Dafne, non lontana dall’uomo quanto questi avrebbe voluto.

Gli occhi del tiranno erano sgranati e furibondi, il volto di Cassiopea teso e inespressivo.

In entrambe le mani del cavaliere le fruste cominciarono a brillare di luce astrale.

Treccia di Cassiopea!” La sua arma mentre fendette l’aria diretta a colpire Crono.

Un urlo atroce, più acuto degli altri, sovrastò il suono della battaglia. Ma… non era stato il despota a gridare.

 

“Dannazione!” ringhiò Dafne furiosa. “Perché diavolo questi maledetti Algar non si levano dai piedi?”

Davanti a Crono, un demone era intrappolato tra le spire della frusta di Cassiopea, tremante per il terrore e per la forza della morsa che gli stritolava le carni.

Gli occhi dell’Algar divennero vacui in un istante, lo stesso istante in cui si udì il macabro scricchiolare di ossa che si spezzavano e… smise di tremare.

Si era intromesso; aveva pagato caro il suo gesto.

 

“Non la sua, la vita che volevo”, infuriò Cassiopea.

Crono ne approfittò per evocare altri demoni.

Il cavaliere accerchiata si trovò costretta a difendersi, anziché dedicarsi alla sua preda come avrebbe voluto… e dire che ci era arrivata così vicina!

 

Riflesso della Regina!” ordinò Dafne e gli Algar vennero respinti indietro dal riflesso dei loro stessi colpi.

“Non ve l’aspettavate da una tipetta tanto delicata, vero?” dileggiò contro gli sfortunati che l’avevano appena fatta irritare più del dovuto, permettendo a Crono d’allontanarsi dal raggio d’azione delle sue fruste.

 

  Natalija era in terra, poggiata contro il tronco di quell’albero, sofferente per i colpi subiti: l’armatura le rendeva faticoso respirare, pur anche il peso fosse tornato sostenibile, dal momento che era stata nuovamente intrisa dall’energia della costellazione che le conferiva nome e poteri.

Si sentiva come schiacciata a causa dello stato in cui versava dopo quell’attacco suicida.

“Armatura della Corona Boreale”, invocò con voce fievole, “abbandona il mio corpo”, quasi inudibile alle sue stesse orecchie, ma sufficiente ad ottenere che la sua corazza si dissolvesse. Svanì nel nulla e lei, almeno per qualche istante, si sentì sollevata.

 

Poco più in là infuriava ancora la battaglia.

 

  Zoe si trovava nuovamente a fiancheggiare Adrien nella lotta.

Spire di Cefeo!”, minacciò la ragazza, mentre, investiti dalle sue catene, diversi nemici cadevano sopraffatti dalla potenza del suo cosmo.

“Ben fatto, Rospetta!” si congratulò Adrien.

Zoe a quel soprannome non riusciva proprio ad abituarsi, per sfortuna sua (e dell’intero universo) il Cavaliere dell’Altare aveva la pessima abitudine di dare nomignoli ad ogni cosa, anche alle sue stesse parti anatomiche, quindi… “Tanto vale sorvolare per una volta”, le suggerì il buon senso e si limitò a scuotere il capo. “Beh”, notò poi, fermandosi un momento a riprendere fiato, “è anche merito tuo, il tuo colpo li ha disorientati.”

Il tempo di scambiarsi un sorriso d’intesa e si lanciarono nuovamente nello scontro.

 

Benarin e Lothar rimanevano incollati l’uno all’altro durante la battaglia. Per i due gemelli tenere testa ai nemici, sincronizzando i loro attacchi, risultava facile come bere un bicchiere d’acqua.

A Benarin ancora bruciava l’essersi fatto prendere in giro da Crono, quando avrebbe potuto mettere fine a tutta la faccenda. Si era sentito spiazzato, preso in contropiede, sciocco e non gli era piaciuto affatto.

Combatteva travolgendo interi gruppi di demoni con le sue onde d’urto, tenendoli a distanza mentre il fratello li atterrava uno a uno senza risparmiarsi.

Per quanto fossero identici nell’aspetto, da sempre Benarin avrebbe voluto avere almeno un briciolo della fermezza e determinazione di Lothar, ma aveva capito da un pezzo ormai che lui era fatto di tutt’altra pasta: distratto, troppo a volte, e inevitabilmente sciocco.

Si morse un labbro a quella riflessione, mentre osservava il fratello atterrare un avversario con un falso colpo al ventre e un vero diretto in pieno mento.

Lothar, a differenza sua, si divertiva… si divertiva a combattere.

Il suo gemello era in grado di vedere, letteralmente, alcuni secondi nel futuro e avere così un quadro delle possibili azioni del avversario e prevenirle. Questo ovviamente gli costava energia e non poteva usare quella capacità troppo a lungo; ma anche Lothar, come Benarin, sembrava furioso e la rabbia a cavallo dell’adrenalina nelle sue vene sembrava aver annichilito prima di tutto la stanchezza.

Nel giocare al gatto con il topo però, il ragazzo si ritrovò nella traiettoria di tiro di un trio di demoni che, senza esitazione, convogliarono quella che a Benarin parve energia cosmica, preparandosi a colpire.

Spostati, Lothar!

Il telepate ubbidì istantaneamente al fratello, gettandosi di lato, intuendone le intenzioni.

Onda d’urto!” gridò ancora Benarin, generando nell’etere un’immane vibrazione che investì il nemico.

Mentre il fratello si precipitava a finire il trio mandato a gambe all’aria, un Demone, approfittando di quella distrazione, s’avvicinò a Benarin tanto da afferrarlo.

Il ragazzo venne stretto in una morsa tanto salda quanto dolorosa, che gli spezzò il fiato.

Ci volle un attimo, solo un attimo: il tempo necessario al cervello di Benarin per tradurre quella sensazione in fatto ed agire.

Con agilità felina, merito dell’addestramento militare, si sciolse dal mortale abbraccio, riuscendo a capovolgere la situazione: invece d’ostacolare quella presa l’aveva assecondata, chiudendosi nelle spalle, anticipando la stretta dell’Algar, e scivolandogli così tra le braccia. Rapido gli era poi passato tra le gambe così da trovarsi lui alle spalle del nemico.

“Non dovevi farlo!” gli disse, per poi sussurrargli all’orecchio: “Onda sonica!”

Lo spinse, allontanandolo di qualche passo, e schiuse le labbra fino a spalancarle.

Non si udì nessun suono, eppure la realtà osservata attraverso il cono d’aria che dalla sua bocca estendeva verso il nemico, vibrò come percorsa da terribili fremiti.

Il Demone indietreggiò ulteriormente, incrociando le mani davanti al volto, sperando di resistere all’attacco, ma fu del tutto inutile: crollò a terra in un mare di sangue, gli occhi esplosi e il corpo molle come gelatina, ogni suo osso frantumato dall’interno.

“Ti avevo avvisato”, disse il ragazzo, chinandosi e posando, mimando dolcezza, una mano tra i capelli dell’Algar che, deprivato della vita, scompariva tramutandosi in fumo. “Mai attaccare un esper alle spalle, non puoi sapere come la prenderà.”

 

Lothar fu accanto al fratello nel secondo in cui tornò a ergersi diritto.

“L’armatura di questo tizio si è disintegrata sotto il mio attacco”, l’informò Benarin col volto al terreno ancora fumante promemoria di dove, pochi istanti prima, si trovava il cadavere.

“I nostri colpi non riducono in quelle condizioni le armature di un cavaliere,” constatò Lothar.

“Quindi non sono cavalieri”, concluse Benarin, ottenendo un cenno d’assenso da parte del fratello.

Non ebbero il tempo di rifletterci ulteriormente che un fascio di energia oscura sfrecciò contro di loro, costringendoli a dividersi per schivarne la potenza e a rigettarsi nel vivo dello scontro.

 

Leonidas del Centauro ed Estéban della Lira durante il combattimento si erano lentamente allontanati, fino a ritrovarsi a lottare da soli.

Anche se questo non li rendeva certo meno pericolosi.

 

Malgrado si trovasse senza armatura il Cavaliere della Lira poteva contare di nuovo sui suoi poteri.

La musica cosmica, richiamata dal suo Stringer Nocturne colpiva inesorabilmente le terminazioni nervose del nemico fino a paralizzalo, il resto poi per lui era un gioco da ragazzi.

Tutto si poteva dire su Estéban e sulla sua passata perdita di… rotta. Non si poteva però insinuare che gli anni di allenamento a cui l’aveva sottoposto Shaina, il Cavaliere dell’Ofiuco, avessero fatto di lui un incapace, altrimenti il Grande Tempio non avrebbe ritenuto necessario mandare un cavaliere d’oro a recuperarlo quando… quando era uscito di senno. Di acqua ne era passata sotto i ponti, ma ancora gli pesava, come gli pesava non poter dire ai suoi compagni che non aveva dimenticato a casa il suo simulacro, ma che per volere della dea non gli era permesso indossare la sua corazza al di fuori delle missioni ufficiali. Avrebbe voluto davvero parlarne, almeno con Natalija, ma… adesso le sue priorità erano altre e in cima alla lista c’era il desiderio di riguadagnarsi la piena fiducia di Atena, della sua maestra e del Santuario. Quei Demoni, in fondo, non erano altro che un sassolino fastidioso sul percorso che si era prefissato.

 

Leonidas era stato colpito al braccio dal fendente del suo avversario e questo l’aveva davvero, davvero fatto arrabbiare.

“Preparati ad incontrare la tua Divinità!” minacciò il demone blandendo la sua arma di cristallo.

Le mani di Leonidas si mossero nell’aria, tracciando le stelle della sua costellazione. “Fulmine purpureo!” annunciò, lanciandosi, e scagliando diverse sfere d’energia, contro l’Algar così da renderlo inoffensivo.

Il demone, con prontezza di riflessi, schivò i colpi del Cavaliere del Centauro per poi dire, ghignando: “Peccato! Ho già conosciuto questo colpo. Credevo sapessi fare di meglio.”

Le labbra di Leonidas, prima tese, si piegarono in un sorriso avventato: “Cometa del centauro!”, dichiarò, mentre gettandosi nuovamente verso il nemico univa la potenza dei suoi fulmini in una sola enorme sfera di luce percorsa da lampi luminosi che lo avvolse completamente, riversandosi poi irrimediabilmente contro il nemico.

Il demone crollò a terra privo di conoscenza e, forse, privo anche della vita.

So fare di meglio”, disse Leonidas come risposta a quella che ora suonava una domanda assurda. “Peccato che il mio meglio sia stato un po’ troppo per te”, concluse sarcasticamente, portandosi una mano alla spalla ferita. Voltandosi, scattò di corsa, preparandosi ad affrontare un nuovo avversario che, approfittando della situazione, gli si stava gettando contro con tutta la sua potenza e velocità; peccato che anche tutta la rapidità del mondo non sarebbe stata sufficiente a farlo passare inosservato ai sensi allertati dell’allievo del Cavaliere di Pegasus, né tanto meno a garantirgli la prima mossa.

 

Dafne era nuovamente spalla a spalla con il Cavaliere della Freccia e più che impegnati in un vero scontro sembravano si stessero dando manforte nel macellare chi giungeva nel loro raggio d’azione, ed il raggio d’azione dei loro colpi era decisamente molto vasto.

“Mi fa uno strano effetto starti accanto, moretta”, disse il cavaliere dagli occhi rossi, “è come se risvegliarsi in me uno strano istinto sanguinario.”

“Non dovresti parlare così, noi siamo i buoni, non dimenticarlo!”, lo rimproverò il Cavaliere di Cassiopea mentre con la sua frusta stritolava l’ennesimo, malcapitato, demone.

“Se lo dici tu, come posso contraddirti”, ghignò Eros, mentre l’arco tra le sue mani veniva percorso dall’energia del suo cosmo e una freccia di spine intrecciate si materializzava nella sua mano. “Freccia scarlatta!” dichiarò con fervore, scagliando il suo dardo.

Rovi di spine serpeggiarono dalla freccia non appena penetrò il terreno, fino ad avvolgere i nemici in una morsa mortale.

“Carino”, commentò la ragazza, sciogliendo dalla stretta della sua frusta un demone esanime, “ma anche la mia Treccia non è da meno. Piuttosto, che dici, posso prenderlo in prestito?”

“Fai pure, mia cara”, acconsentì il ragazzo.

“Vedrai che non te ne farò pentire” dichiarò sicura Dafne per poi annunciare: “Riflesso della Regina!” e benché il suolo venisse colpito dalla frusta di Cassiopea, dal suo impatto rovi identici a quelli lanciati dal Cavaliere della Freccia si diressero rapidi e inesorabili verso i nemici.

“Accidenti, se è inquietante! Ogni volta questa tua cosa mi fa venire i brividi.”

“Cassiopea era la regina degli specchi, non dovrebbe stupirti troppo.”

“Mi preoccupava invece, tende a non essere mai uguale al precedente e questo ti dà un bel vantaggio, mia regina!” Finse un inchino, preparandosi poi a scagliare una Pioggia di Frecce contro il nemico. “Ma questi non finiscono mai?”, Aggiunse tendendo l’arco, “Non pensano alla ritirata?”

“A quanto pare non si rendono conto di essere in netto svantaggio”, gli risposero gli occhi color ghiaccio del Cavaliere di Cassiopea, che balzando in aria si precipitava tra un gruppo di demoni, minacciando: “Treccia di Cassiopea!” sfoderando di nuovo la sua arma preferita e sbaragliando gli avversari.

Pioggia di Freccie!” fece eco al colpo della ragazza, mentre una moltitudine di frecce fantasma precipitarono sul nemico confondendo frecce illusorie a quelle reali e così impossibili da schivare in toto.

“Caspita che donna!” pronunciò Eros a colpo inferto, “poverino chi ti sposa, voglio vederlo a cercare di avere la meglio su di te.”

Taci, idiota!” gli urlò contro lei “E… attento alle spalle, dannazione!

Il Cavaliere della Freccia si voltò, ma a pochi metri da lui un guerriero in armatura bianca aveva già scagliato il suo colpo. Rapido, si chiuse su sé stesso nel tentativo di porre resistenza al colpo: schivare era ormai impossibile.

Riflesso della Regina!” Arrivò alle sue orecchie mente un’ombra gli si parava dinanzi.

Il tempo di riaprire gli occhi e il turbine di fiamme scagliato dal demone veniva rispedito al mittente. L’Algar del fuoco colto alla sprovvista si accasciò al terreno, avvolto dal suo stesso potere.

“Grazie”, disse Eros alla compagna circondata dalla luce del suo cosmo che bruciando rendeva ancora più micidiale ogni suo colpo.

“Allora?” disse lei voltandosi appena, “Trovi ancora tanto inquietante il mio colpo, adesso che ti ha parato il culo?”

Cavolo sì! Per carità ho gradito, ma non posso sorvolare sul fatto che incute quel certo non so che”, continuò il ragazzo, affiancandosi a Dafne in modo da coprire i rispettivi punti ciechi.

“Non riesci a dire un semplice sì o un no, vero?” criticò lei con un tono che al contrario della beffa che voleva improntare parve confortante.

“Uhm… me lo domanda sempre anche il mio maestro e…”

Cielo Freccia! Era una domanda retorica!”

“Ehi bella, sei tu che dai frecce al mio arco. Frecce, l’hai capita questa? Frecce” ironizzò Eros.

“Atena, ti supplico…” borbottò la guerriera continuando a combattere, immediatamente interrotta dal compagno.

“Anche questo lo dice spesso il mio maestro.”

“Chissà perché non ne non ne avevo alcun dubbio.”

“Davvero?” Chiese lui, facendosi pensieroso e fermando la propria offensiva.

“Ti sembra questo il momento di rifletterci, muoviti e combatti, maledizione!” l’incitò lei sgranando gli occhi, esterrefatta dal comportamento dell’allievo di Aphrodite dei Pesci.

Rifletterci? Eh, eh!” ridacchiò, scuotendosi e beccandosi un’occhiata torva da parte della ragazza, “detta da te è carina!”

La ragazza roteò gli occhi in una tacita supplica, mentre decideva di lanciarsi nuovamente nella mischia.

“E no!” disse Eros, seguendola. “Questa volta ti scordi di lasciarmi indietro, bellezza! Pioggia di Frecce!” dichiarò per aprirsi il cammino.

“Treccia di Cassiopea!” riecheggiò la voce di Dafne, mentre entrambi sparivano nel chiarore dell’esplosione dei colpi e nella polvere del combattimento.

 

“Ma guarda quei due che tipi!” commentò Tomas, Cavaliere del Leone minore, distraendosi dalla sua azione quando Dafne e Eros gli sfrecciarono accanto.

“Cosa fai? Perdi tempo a confabulare fra te e te, piuttosto che combattere?” lo richiamò all’ordine un demone dalla pelle scura e dai capelli del colore del mare.

“Già, ma sono tutto tuo ora, lo giuro!” rispose con baldanza.

“Credimi, non sarà un bene per te!” disse il demone dagli occhi verdi mentre, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli nell’aria, incrociava le sue mani all’altezza del petto. “Colpo dell’Ombra Assassina!” dichiarò.

Un velo d’oscurità cominciò rapidamente ad avvolgere ogni cosa: gli alberi, l’erba e i fiori si seccarono, la terra mostrò le sue viscere, spaccandosi, mentre l’ombra si dirigeva verso il Leone Minore.

Cerchi di Fuoco!” dichiarò rapidamente il cavaliere, richiamando in difesa il suo potere.

Dal diadema dell’armatura scaturirono lingue di fuoco azzurre che circondarono il corpo di Tomas.

Un fitto strato d’ombra si accalcò contro quei cerchi protettivi fino a non lasciar più scorgere l’immagine del cavaliere dagli occhi grigi. Le fiamme vorticavano ad una velocità che l’occhio umano non poteva distinguere, ingoiando, al pari di un buco nero, l’energia del colpo avversario facendola propria, ma questo l’avversario di Tomas non poteva saperlo.

“È inutile resistere cavaliere, sei spacciato ormai”, asserì il demone sicuro del suo successo, osservando la sua coltre oscura serrata come un pugno attorno al ragazzo, quando…

Ruggito di Fuoco!” minacciò la voce del Leone Minore dall’interno della sfera.

Un vorticare di fiamme di potenza ciclonica disperse l’ombra in minuscoli pulviscoli di nebbia scura che svanirono come fossero neve al sole e investì l’Algar, scaraventandolo in terra.

Tomas si mosse, dirigendosi deciso verso il suo avversario. “Sei tu a non avere speranza, Demone! Lion…”

“Un attimo, ti prego!” lo frenò l’altro.

Ma… com’era possibile? Perché dopo tanta baldanza ora lo pregava?

Tomas cessò la sua offensiva per lasciare che parlasse.

“Hai ragione, cavaliere, sono io quello senza speranza, ma non…” s’interruppe tossendo sangue e stringendo una mano all’addome, ma riprese: “…posso lasciare che la natura paghi il prezzo del mio operato.”

Tomas lo guardò frastornato, senza capire realmente cosa intendesse.

“Volevo ucciderti e…” continuò l’Algar, “…sistemare ogni cosa, ma…”. Non terminò quella frase per risparmiare qualche energia, forse, o trovando più eloquente scostare la mano dal ventre, mostrando cosa nascondeva: un profondo taglio rigettò sangue e viscere lacerate.

Il demone si apprestò nel tornare a tamponare la ferita.

Le assi di metallo dell’inferriata contro la quale la potenza dell’attacco di Tomas l’aveva scaraventato erano in parte divelte e doveva essere stata una di queste a ferirlo.

“Come vedi sono già morto. Lascia che…”

“Ok”, lo interruppe lui, “ma non fare scherzi.”

Un lieve annuire del capo in risposta e… “Ripristino!” dichiarò il demone, posando una mano al suolo, mentre Tomas istintivamente si preparava alla difesa.

Sorrise poi, mentre lo sguardo gli si faceva vacuo e crollava su un fianco, inerme; mentre l’erba rinverdiva lì dove il terreno era stato denudato e gli alberi riguadagnavano le loro foglie dove le fiamme li avevano spogliati. I fiori schiusero i loro petali, malgrado fosse notte inoltrata, e le lucciole tornarono a volare lì dove il loro colpi avevano portato solo la morte.

Tomas si chinò sul demone mentre iniziava a svanire lentamente.

“Io…” disse il ragazzo, “…pensavo foste mostri senza cuore. Io…”. Sentiva la confusione impadronirsi di lui ed insieme a questa un immenso senso di dispiacere.

“Adesso non scoppierai a piangere, vero, Cavaliere?” lo raggiunse una voce alle spalle.

Un altro demone pronto al combattimento?

I sensi allenati di Tomas lo fecero scattare in piedi, voltandosi, prima ancora di far mente locale su quanto stava avvenendo. Poco distante da lui lo sguardò incontrò la figura di un’Algar dall’aspetto femminile e dalla pelle scura.

Il nemico non assunse una posizione d’attacco, bensì disse, avvicinandosi: “Pensi forse che mio fratello avrebbe avuto la stessa premura per te?”

“Fratello?” ripeté il ragazzo, notando solo in quel momento una certa somiglianza con il demone in terra.

L’Algar annuì appena. “Auron”, disse seccamente. “Auron era il suo nome.”

Lo sguardo che l’Algar gli rivolse era freddo e inespressivo, ma non sembrava comunque intenzionato a lottare e non era abitudine del Leone Minore attaccare senza necessità di farlo.

Quella creatura si fermò a pochi passi da lui. “Permettimi di salutarlo un’ultima volta prima che scompaia.”

Tomas annuì, facendosi di lato.

La Demone si chinò sul corpo del guerriero in terra, posandogli una mano tra i capelli. I contorni di quel corpo esanime svanivano come fumo, consumandone lentamente la figura, fintanto non restò nulla sotto la mano della donna.

“Uccidete Crono”, dichiarò d’improvviso l’Algar, sollevandosi da terra e volgendo solo le iridi verso il cavaliere. “È lui ad evocarci. Uccidete Crono e non avremo più motivo per attaccarvi.”

Tomas sentì il dovere di annuire a quella richiesta e a quel suo gesto la donna davanti a lui sorrise e svanì rinunciando alla lotta, se mai avesse davvero avuto desiderio di fronteggiarlo.

Il Cavaliere rimasto solo in quell’anfratto del parco si voltò alla ricerca dell’uomo che osava paragonarsi agli dei. Lo scovò in lontananza e, additatolo, dichiarò con animo colmo d’odio: “Sei finito!”

   

Natalija si era tolta l’armatura da qualche secondo, quando si accorse che il suo gesto non era passato inosservato: alcuni demoni si distanziarono dalla lotta contro Altare e Cefeo per muoversi nella sua direzione.

La Corona Boreale se ne rese conto per tempo, ma era stremata già da prima di svegliarsi nella prigione di Crono e a quel senso di malessere s’erano aggiunte nuove e più profonde ferite a tenerla in scacco.

Il sangue perso colorava il terreno e, per quanto fosse un cavaliere, la debolezza non le permetteva di muovere un solo muscolo, benché meno di parlare.

Purtroppo una cosa era certa: per quei demoni, se non era morta, voleva solo dire che era ancora da uccidere.

 

In tre si diressero verso di lei con passo lento, ma inesorabile.

 

Adrien e Zoe, presi dalla lotta, non si accorsero di cosa stesse avvenendo poco distante da loro.

Si trovavano esattamente al centro di quel marasma di demoni e anche solo riprendere fiato, tra un colpo e l’altro, si stava rivelando un’impresa impossibile.

“Qualcosa mi suggerisce che vi serve una mano”, li raggiunse, non senza un pizzico d’ironia, la voce di Sherak.

Il Cavaliere della Fornace apparve ad alcuni metri dai due ragazzi dopo aver incenerito, letteralmente, un demone.

“Ma tu pensa, il mio senso di ragno m’ha sussurrato la stessa cosa”, disse Estéban arrivando al fianco dell’altro cavaliere, mentre le corde della lira evanescente tra le sue braccia finivano di strangolare i demoni sospesi per il collo accanto a lui.

“Ragazzi!”, salutò affannato Adrien.

“Vi piace farvi desiderare, a quanto pare”, ironizzò Zoe di Cefeo, ritrovando il sorriso.

I loro compagni erano ancora distanti e i demoni che si frapponevano tra loro decisamente troppo numerosi.

“Dobbiamo aprirci una strada e in fretta”, fece notare Estéban, “A questo ritmo, Zoe e Adrien non reggeranno ancora a lungo.”

Sherak annuì, mentre, schivato un demone, il suo palmo infuocato ne carezzava il volto.

Le grida di dolore dell’Algar si sollevarono fino al cielo, ma questo non sembrò impedire a resto di quella marmaglia di continuare ad attaccare.

“Sai, Estéban…”, disse Fornace, mollando il tizio ustionato che teneva per il volto mentre già cominciava a svanire, “…mi sono sempre chiesto cosa avverrebbe se unissimo i nostri colpi.”

Le corde della Lira stavano mantenendo la posizione al servizio del loro cavaliere. Lo scricchiolio dei colli spezzati sembrò parte integrante della melodia che aleggiava nell’aria attorno al combattente senza armatura, che parve riflettere alla richiesta del compagno: “In teoria la mia melodia cosmica dovrebbe annichilire le tue fiamme, ma… potremmo sempre provare, non trovi?”

Il cavaliere della Fornace annuì, mostrando un ghigno divertito all’idea, per poi annunciare prontamente il suo colpo: “Fiamme dell’apocalisse!

Stringer Nocturne!” dichiarò la voce di Estèban.

I colpi dei due cavalieri si fiancheggiarono gettandosi contro i nemici che li separavano dai loro compagni. Una spettacolare vite di fiamme e luce cosmica si riversò sui loro avversari senza possibilità di scampo, inghiottendo ogni suono nel suo procedere.

“Però!?” esordì Adrien compiaciuto, “Mica male, dovreste farlo più spesso, ragazzi!” poi, rivolgendosi alla compagna: “Che ne dici, Zoe?”

La ragazza non se lo vece ripetere due volte, intuendone immediatamente le intenzioni, dichiarando “Immolazione del Re!”.

Immediatamente seguita dalla voce del Cavaliere dell’Altare. “Onda Infernale!

Anche i loro nemici caddero inesorabilmente sotto la potenza dei loro colpi combinati.

“Bell’idea, ci fosse venuta prima”, commentò Adrien.

“Come vedi, Fornace…”, si volse Zoe a Skerak, strizzandogli l’occhio, “…neanche i nostri colpi sono poi tanto male messi insieme.”

“Ma sarà?!” obiettò Estéban, “Come potenza nulla da ridire, ma il nostro è stato decisamente più spettacolare di una marea di anime incatenate che si aggrappano al nemico uscendo dal suolo.”

“Sembrava di trovarsi sul set di un film di zombi”, aggiunse Sherak annuendo deciso al compagno d’armi.

“Grazie della franchezza, Estéban” se la rise Adrien.

“Non c’è di che, Altare”, rispose questi.

 

“Non reagisce. Forse ci siamo sbagliati”, affermò un demone dopo aver scosso Natalija con un piede.

“Potrebbe essere un trucco per poterci prendere di sorpresa. Hai visto con che furia ha attaccato Crono e non poteva contare nemmeno sul suo cosmo”, aggiunse un altro.

“Non avrebbe aspettato fino a questo punto per attaccarci, siamo sempre in tre e lei è sola”, detto questo il demone, il primo ad aver parlato, si chinò sulla ragazza per controllare meglio. “È viva!” disse a quel punto, “Sento il suo respiro e, anche se debolmente, penso ci stia osservando.”

Il terzo demone, quello che fino a quel momento non aveva parlato, si chinò a sua volta, prendendo il viso del cavaliere tra mani: “Deve trattarsi di una di quelli su cui Crono ci aveva avvisati…”

“Vuoi dire…”, lo interruppe l’altro demone inginocchiato, “…che possiede un addestramento diverso dagli altri e che poteva essere un pericolo nel suo regno?”

L’altro annuì. “Non a caso aveva mandato i migliori di noi a sistemarla.”

“Uhm…” sembrò valutare il primo, “…ha perso troppo sangue. Non credo le rimanga molto ormai, Crono non ci è andato leggero con lei.”

“Già”, commentò l’Algar ancora in piedi, “Le ha gettato contro quasi tutto il nostro popolo, è un miracolo che sia ancora viva.”

“Tanto vale finirla”, intervenne il secondo demone giunto accanto alla ragazza. “In fin dei conti potrebbe essere l’unico smacco che infliggeremo ai Cavalieri d’Atena. Qui sono troppo forti per noi.”

“Non credo sia una buona idea”, obbiettò il primo, “È come se fosse già morta e onestamente non me la sento di colpire una ragazzina indifesa.”

“Il suo cosmo potrebbe ancora salvarla, è un cavaliere non dimenticarlo.”

“Pensatela come volete…” continuò il più determinato dei tre. “Ma io non lascio correre. Questi cavalieri hanno ammazzato molti dei miei fratelli.”

“Non credi…” intervenne il primo ad essersi chinato su Natalija, alzandosi, “…che loro potrebbero pensare lo stesso? Infondo siamo stati noi ad attaccarli e…”

“Siamo in guerra!” lo interruppe l’altro. “La vendetta spetta al più forte e, tra noi e lei, i più forti siamo noi in questo momento.”

“Rotan, hai sentito quello che ha detto Arken, io non so se…”, tentò di dissuaderlo il primo, ma il demone non attese che terminasse di parlare. Afferrò la ragazza per il volto e sollevandosi la tirò su da terra insieme a lui.

 

Natalija sentiva il corpo ciondolare pesantemente nel vuoto, era immobile, priva di qualunque energia… una bambola di pezza tra le mani di un bambino viziato.

“Hai un bel faccino cavaliere, quasi mi dispiace dovertelo rovinare.”

La testa della ragazza si reclinò all’indietro, mentre il demone infiammava il suo pugno, e per un attimo lo sguardo sfiorò alcuni dei suoi amici: Benarin, Lothar e Shad lottavano abbinando i loro poteri.

Stavano per lanciare i loro colpi.

Erano vicini. Se solo si fossero accorti di lei, pensò con un senso di rassegnazione nel cuore, ma era tardi ormai.

Shad”, lo sguardo si fermò sul combattente, un ultimo saluto nei suoi pensieri, di cui lui non avrebbe mai saputo nulla.

Fiamme del…” annunciava l’Algar, mentre il calore del suo potere già le ustionava la pelle, eppure la mente di Natalija era bloccata a pensare che il suo amico non avrebbe mai più avuto la possibilità di finirle il discorso che aveva cominciato quella sera e… per assurdo, l’idea di deluderlo, in quell’attimo, bruciava più della fiamma accanto al suo viso.

I due telepati portarono a termine il loro attacchi, ma Shad si bloccò improvvisamente, voltandosi nella sua direzione.

…regno perduto!” terminò il demone, mentre il pugno incandescente scendeva sulla ragazza.

Gli occhi di Shad divennero di ghiaccio e i tre Algar vennero sbalzati lontano dal corpo di Natalija, investiti da un’esplosine invisibile.

Il cavaliere della Corona Boreale rimase sospesa nell’aria, fluttuando come fosse lei stessa parte dell’etere.

Shad mosse un unico passo, prima di lanciarsi in corsa verso la ragazza e i demoni che l’avevano aggredita. Guidate dalla sua mente, lance di pietra infilzavano, dilaniandone le carni, i tre demoni senza che questi intuissero da dove giungessero.

Fermati, ti prego!” pensò ancora la ragazza, cosciente che solo uno di quegli Algar era realmente colpevole, e… Shad si fermò come se quel pensiero fosse giunto fino a lui, ma come era stato possibile?

Il telecineta bloccò il vento e la pietra, volendosi verso Natalija.

“È giusto così!” si udì senza preavviso la voce del demone che per primo si era avvicinato al Cavaliere.

Tossì, sbottando sangue. “Non volevo morissi. Quando ho visto il tuo sguardo posarsi su questo ragazzo ho aperto un ponte mentale tra voi”, ancora tosse e ancora sangue, mentre gli altri demoni cominciavano a svanire uno dopo l’altro quasi fossero fatti di nebbia, “L’effetto passerà tra breve. Non siamo più in grado di combattere e lo Skulkur ci richiamerà a lui.”

“Quindi è così che è andata”, ragionò Natalija e si sentì scioccamente fortuna ad aver chiamato forse l’unico dei ragazzi che avrebbe avuto la prontezza e la furia necessarie per salvarle la vita.

“Come ti chiami?” chiese Shad al demone senza alcuna inflessione nella voce.

“Che importanza ha?” commentò con un ghigno quel volto ricoperto di sangue, “Sappi solo che sono della stirpe dell’acqua…”. Gli occhi del demone divennero inespressivi e il corpo svanì, dissolvendosi nell’etere come fosse un fantasma.

Shad sospirò profondamente, come per ricercare la calma, mentre il corpo di Natalija gli si adagiava leggero tra le braccia.

“Hai usato le tue capacità da piccola spia, non è vero? Da sola contro quanti? Tre, dieci, quindici demoni? E io che avevo attribuito il ritorno alla nostra realtà un caso o una distrazione. Sono uno sciocco, lo sono sempre stato, ma tu questo già lo sai. Se solo me ne fossi accorto prima! Hai rischiato di morire e tutto perché sono uno stupido. Avrei dovuto difenderti come fai sempre tu, con me e i gemelli.”

Natalija non capiva perché Shad stesse facendo sua la colpa per quella situazione.

“Si fa così con le persone a cui si vuole bene, me lo hai insegnato tu, ricordi? Si dovrebbe sempre stare accanto a chi si ama.”

Come avrebbe desiderato Natalija che il ponte mentale del demone dell’acqua fosse ancora attivo tra loro per potergli parlare e dirgli che sarebbe andata bene, che era un cavaliere e che non doveva preoccuparsi o farsene una colpa, tormentarsi a quel modo era assurdo.

“So che avrebbe voluto pensarci Estéban. So che state insieme anche se non l’avete detto a nessuno, voglio solo che tu sia felice, ma… sono così stanco di far finta che mi vada bene...”

Estéban?”, cosa c’entrava il suo ragazzo con quello che stava dicendo e… Shad come faceva a sapere che stavano insieme quando avevano volutamente evitato di farlo sapere proprio a chi aveva più contatti con i suoi genitori?

Qualcosa però intervenne a distrarre entrambi da quel discorso e quei pensieri.

 

Maledetti!” gridò la voce di Crono.

Tomas, Leonidas, Dafne e Eros erano giunti a pochi passi dalla causa di tutta quell’assurdità.

 
Sei morto!” decretò Tomas, mentre si preparava a lanciare il suo colpo.

“Questo lo prendo io!” disse Leonidas, avvolgendo lo Skulkur con il miraggio della sua fiamma, costringendo l’uomo a lasciarlo cadere, prima di raccoglierlo proprio lui da terra.

Improvvisamente, quando il libro passò di mano, ogni demone fermò la sua offensiva e la battaglia si arrestò.

Cerchi di Fuoco!” pronunciò il Cavaliere del Leone Minore, mentre anelli di fiamma circondavano il corpo di Crono, iniziando a stritolarlo e a bruciarlo.

L’urlo del falso dio riecheggiò agghiacciante nella notte.

 

Fermati!” Ordinò il Cavaliere di Cassiopea a Tomas. La ragazza era rimasta leggermente in disparte mentre il resto dei suoi compagni sembrava deciso a dare il ben servito a quell’uomo.

“Ma Dafne, come puoi chiedere una cosa del genere?” protestò Eros.

Tomas tuttavia, intimorito dallo sguardo severo della compagna normalmente disinteressata alla sorte dei nemici, quietò il suo fuoco che si dissolse nell’aria.

Crono si accasciò al suolo ansante e sconvolto dal dolore e dalle ustioni provocate dal colpo del Cavaliere d’Atena.

“Ma dai!” Si lagnò Zoe, giungendo in quel momento sul posto, mentre al suo passaggio alcuni demoni feriti si dileguavano nel nulla. “Dafne, hai preso una botta in testa?”, poi rivolgendosi agli altri compagni: “Davvero volete ricascarci? Ma quante volte vi devo spiegare che non si permette ai cattivi di farci vedere dubbiosi o quelli ci fregano? La serata Netflix non vi ha insegnato nulla?” sembrò concludere momentaneamente la ragazza, mentre dietro di lei giungevano Adrien, Estéban e Sherak.

“Morire sarebbe una punizione troppo clemente per lui” rispose il Cavaliere di Cassiopea, prendendo il libro dalle mani di Leonidas.

“Ora sì che ti riconosco!” esordì rincuorata il Cavaliere di Cefeo, portandosi una mano al petto. “Per un secondo ho temuto fossi diventata una persona… ehm… una… persona, appunto!”

“Ora sono io la padrona dello Skulkur…”, disse l’altra ragazza, incurante delle parole della compagna d’addestramento, mentre un fievole bagliore scaturiva dalle pagine ancora serrate.

“Cazzo!” esalò Zoe, quasi senza accorgersene mentre il sangue le si gelava nelle vene e il resto dei suoi compagni deglutiva a vuoto.

Tra i demoni finalmente quieti, si fecero largo anche il resto dei cavalieri per riunirsi ai compagni.

“…E tu…”, continuò Dafne, “…non sei altro che un debole e povero vecchio.”

 

Nooo!!!” gridò Crono, mentre il suo volto tornava rugoso e le sue mani si facevano ossute e scarne.

 

“Quale peggior punizione per chi brava l’immortalità e l’eterna giovinezza se non la vecchiaia?” commentò Lothar con un che di soddisfazione nella voce. “Ma adesso cosa facciamo del libro?” aggiunse accostandosi a Dafne, insieme a Benarin.

“Potremmo consegnarlo alla Rossa lei saprebbe di certo cosa farne”, propose l’altro telepate.

“Troppo pericoloso lasciarlo in giro, io dico di liberarcene”, consigliò Eros.

“Giusto, incendiamolo”, suggerì Sherak, mentre Leonidas e Tomas annuivano convinti.

“Ehhh!”, sospirò Zoe, “Mai che suggeriate qualcosa che non abbia a che fare con fuoco e fiamme, voi, vero?”

I tre ragazzi fecero spallucce. “E cosa ci sarebbe di sbagliato, non capisco?” Leonidas fu il primo a dar voce ai loro pensieri.

“Neanche io penso sia una buona idea”, intervenne Shad con Natalija appesa al collo, avvicinandosi con cautela al gruppetto formatosi attorno a Dafne e al libro maledetto. “Così facendo, condanneremo tutti i demoni a morte certa.”

“E con questo?” Chiese Estéban piccato, non gradendo la vista della sua ragazza tra le braccia di un altro.

“Abbiamo fatto loro una promessa”, aggiunse ancora Shad.

“Tu l’hai fatta”, lo riprese a muso duro il Cavaliere della Lira.

“Non dimenticare, Estéban, che è stato merito di tre demoni se noi ora siamo liberi”, fece notare Tomas, ottenendo una smorfia contrariata da parte dell’altro cavaliere.

“Sai, ti preferisco di gran lunga quando parli di dar fuoco alle cose!” commentò Lira ancora più innervosito.

 

Malgrado le parole di Estéban, seguirono secondi di silenzio e di riflessione.

I cavalieri si guardarono intorno: i demoni erano fermi, immobili esattamente dove li avevano lasciati nel momento in cui il libro era passato di mano. Erano feriti, sanguinanti, con in mente di tutto in quel momento probabilmente, fuorché lottare. Era questa la loro vita?

La vita che avevano vissuto fino a quel momento e che li aspettava: costretti ad ubbidire al possessore di quel libro per poter vedere il mondo; per poter essere liberi, anche solo per un attimo, attendendo il prossimo che avrebbe dichiarato suo lo Skulkur e sperando che fosse migliore del precedente.

 

“Tornatene da dove sei venuto, Vecchio”, pronunciò fredda Dafne, rompendo il silenzio.

Crono, anzi no, il vecchio, tremolante Luke McNeil scomparì nel nulla.

“Richiama i tre demoni che ci hanno aiutati”, suggerì Tomas, “mi sembra la cosa più giusta da fare.”

“Già”, acconsentì Zoe, accostandosi all’amica e posandole una mano sulla spalla, “Lasciamo che si spieghino. Decideremo di seguito il da farsi.” Le sorrise caldamente.

La ragazza annuì. “Ma…”, rivelò con sguardo onestamente rammaricato, “… non conosco né i loro nomi, né la stirpe di cui fanno parte.”

“Non so gli altri due…”, intervenne ancora Zoe, “…ma quando li ho affrontati la prima volta, Natalija ha chiamato uno di loro Arken e credo che il suo potere fosse legato alla luce.”

“Tentare non costa niente”, sottolineò Eros, sorridendo all’amica.

“Bene, allora…”, comandò Dafne, “…che Arken della stirpe della luce ei suoi due compagni di battaglia mi appaiano dinanzi!” E così evocati, I tre demoni presero forma davanti ai loro occhi.

 

“Ce l’avete fatta!” esordì Sarn con eccitazione.

“È presto per festeggiare”, lo frenò Waah, “dalle loro espressioni, non sembrano esattamente lieti di vederci.”

“O forse, più semplicemente, abbiamo qualcosa da chiedervi”, chiarì Tomas, mentre a quelle parole il resto dei cavalieri annuì.

“Come mai gli Algar vi imprigionarono in questo libro?” domandò Dafne senza esitazione.

“Non furono gli Algar, noi siamo gli Algar, furono… noi li chiamavamo gli Antichi”, specificò Sarn.

“C’imprigionarono per la nostra stessa natura”, rispose Arken dopo aver annuito all’altro demone. “Noi non eravamo come loro, eravamo diversi. Più potenti per alcuni versi, più impudenti per altri.”

“Vivevamo in un’epoca…”, intervenne nuovamente Sarn, stringendo i pugni, “… in cui il divertimento maggiore era bruciare tutto, cose, animali, persone… anche i bambini. Bastava una cosa fuori posto, un evento incomprensibile o la semplice paura. Stregoneria, chiamavano tutto quello che non capivano.”

“E proprio nella stregoneria si dilettavano gli Antichi. Un potere mistico, simile per alcuni versi a quello degli dei. Alcuni usavano la mente come voi”, spiegò Arken indicando i gemelli, “Grazie a questi poteri erano in grado di vedere al di là delle cose, di capire come funzionavano.”

“Ma alcuni tra gli Antichi cominciarono ad usare queste loro capacità come armi”, specificò Waah, fissando Shad.

“E noi…”, continuò Sarn, “…noi eravamo un popolo libero, senza una vera e propria gerarchia, così come aveva decretato nostra madre, Gea. Vivevamo alla giornata senza sprecare troppa fatica nel guadagnarci da vivere e… in fondo perché mai avremmo dovuto? I nostri poteri, per volere della Grande Madre, ci offrivano tutto quello di cui avevamo bisogno. Se avevamo fame la stirpe della terra ci dava i suoi frutti, oppure le stirpi dell’aria e dell’acqua sacrificavano per noi qualche piccola creatura. La stirpe del fuoco ci donava calore nelle lunghe notti d’inverno e le stirpi della luce e dell’oscurità ci difendevano dalle invasioni di altri popoli. La Grande Madre ci aveva offerto tanto in cambio della nostra fedeltà e della nostra protezione, qualora il Caos avesse voluto distruggere il creato. Eravamo il suo esercito, proprio come voi Cavalieri lo siete di Atena. Eravamo liberi, troppo liberi e questo agli Antichi non piaceva. Erano invidiosi, non capivano perché loro dovessero essere considerati reietti perché mortali diversi dai loro simili, mentre noi, che di umano non avevamo nulla, venivamo lasciati liberi di prosperare. Alcuni cominciarono a unirsi in piccoli gruppi e si diedero il nome diverso, si chiamarono Mudatahad, che nella lingua dei loro avi voleva dire Perseguitati e perseguitati in effetti lo erano.”

“Quando cominciarono ad essere accusati di stregoneria e ad essere massacrati uno dopo l’altro,” continuò Arken, “un uomo tra loro, chiamato Almthm, sotto mentite spoglie, cominciò a far girare tra le genti la voce che la causa di tutte le loro disgrazie fossimo noi, gli Algar o, come ci chiamavano i mortali, le Oreadi, le stirpi bianche delle montagne e delle foreste.”

“In quel periodo la terra era soggiogata da una serie nefasti eventi, carestie, malattie e… il freddo diventava sempre più rigido, anno dopo anno. Era lungamente più semplice accusare qualcuno anziché affrontare il fatto che non si poteva vincere la natura”, specificò Waah.

“Ci additarono come demoni, servitori del male”, riprese Arken. “Così gli Antichi ne approfittarono e da perseguitati, divennero persecutori della nostra gente. Si dichiararono trai popoli mortali come gli unici in grado di porre rimedio al peccato della nostra esistenza. Così ci trovammo costretti a imbracciare le armi.”

“Non so come…”, intervenne Sarn, “…forse con l’aiuto della magia, di qualche divinità maligna, o del Caos stesso, ma riuscirono ad imprigionarci nello Skulkur, ponendo le leggi che già conoscete. Ci chiamarono Demoni, e come sigillo alla nostra prigionia stabilirono che chi di noi avesse toccato il libro sarebbe morto all’istante. Ma quella fu la loro ultima malvagità: non avevano fatto altro che mandare per le lunghe qualcosa di inevitabile. La gente di quel periodo era stolta, malvagia e spaventata. E quando, dopo la nostra scomparsa, nulla dei tanti mali che li tormentavano cessò, tornarono a fare quello che avevano sempre fatto. Ripresero a perseguitare gli Antichi, non solo i Mudatahad, a cacciarli con maggior accanimento di prima e così li uccisero uno a uno, finché non ne rimase nessuno a testimonianza del loro passaggio su questa Terra.”

 

I cavalieri udirono silenziosamente e con sconcerto le parole dei tre guerrieri della stirpe della luce.

 

“Beh”, Leonidas trovò il coraggio di parlare per primo, “credo che ora non restino grandi dubbi da chiarire.”

“Ti sbagli”, intervenne Eros, “finché quel libro è in giro, come ho già avvertito, né noi e né gli Algar possiamo dormire sonni tranquilli.”

“E allora?” chiese Leonidas.

“So io cosa fare”, disse Dafne, ghignando per nulla rassicurante, causando un nuovo simultaneo singulto in più di un cavaliere. Socchiuse gli occhi prima che anche solo uno dei suoi amici potesse dire o fare qualcosa, mentre il libro tra le sue mani si illuminava, tramutandosi di seguito in brillante polviscolo evanescente, e altre sagome in armatura candida comparivano nella radura del parco.

“Ora…”, disse riaprendo gli occhi, “…il libro non esiste più e a voi non è successo nulla. Poi sorridendo più apertamente e senza malizia ai guerrieri, “Siete liberi. Fate quello che volete della vostra vita, purché lontano da qui.”

 

“Come hai fatto?” chiese Estéban alla ragazza.

“Ho espresso… uhm… un desiderio, come padrona dello Skulkur, e lo Skulkur ha obbedito. Tutti i demoni ora sono liberi e il libro è svanito per sempre. Possiamo tornare a casa, finalmente, sono esausta”, concluse il Cavaliere di Cassiopea.

“Come se noi fossimo freschi come rose”, borbottò Tomas a mezza bocca.

“Era ora!" sospirò Adrien, “Non ho ancora finito di smaltire la sbornia; pensate che ho creduto di aver combattuto contro creature provenienti da un’epoca remota, fianco a fianco con la tipetta tutto pepe che mi odia, neanche fossi la peggiore persona del mondo, e avevamo pure un buon feeling.”

“Non è stato un sogno, idiota, e… abbiamo un buon feeling, in combattimento”, specificò Zoe.

 

“E voi, ora, cosa farete?” chiese Tomas tornando a guardare i tre demoni davanti a loro, “Ora che siete liberi.”

“Credo…”, disse Waah, “…che cercheremo un luogo dove vivere come siamo abituati a fare. Un posto sperduto in qualche angolino della Terra, che noi della Stirpe della Luce con la Stirpe dell’Oscurità renderemo invisibile agli occhi umani come abbiamo sempre fatto in passato, così che nessuno possa disturbare la nostra ritrovata libertà.”

 

Sparirono nel nulla poco dopo: uno ad uno, dopo sguardi d’intesa e parole percepibili solo ai loro sensi.

 

“Spero che la tua amica si riprenda presto, così potrete continuare da dove vi abbiamo interrotto”, furono le ultime parole comprensibili, quelle che Sarn rivolse a Shad, ricolme d’ironia, prima che anche quell’ultimo Algar scomparisse.

 

Shad restò intimidito dall’intervento del demone e lo dimostrò il fatto che per tutta la strada del ritorno a casa non disse una sola parola, né tanto meno rispose alle domande che gli fecero riguardo a cosa l’Algar si riferisse; al punto da non mostrare alcun disappunto quando Estéban si offrì di dargli il cambio per portare Natalija.

Erano ormai le prime luci dell’alba quando giunsero a casa, completamente sfiniti, tanto che a stento riuscivano a tenere gli occhi aperti, sorreggendosi l’un l’altro per le ferite subite che, scemata l’adrenalina, cominciavano a farsi sentire.

 

Natalija stava lentamente riprendendo le forze ora che l’energia del suo cosmo aveva cominciato a risanare il suo corpo. Faceva male, tutto faceva un gran male, ma riusciva di nuovo a sorridere ed a guardare il viso del suo ragazzo che la stringeva tra le braccia.

 

Fu in un battito di ciglia, uno scherzo della stanchezza forse, un inganno della luna piena, ma per un attimo la ragazza ebbe una strana sensazione: qualcosa le parve muoversi indistinguibilmente nell’aria accanto a lei, sfiorandola con una carezza gelida che aveva già sentito, ma non rammentava dove, non in quell’istante.

Forse qualcuno o qualcosa li aveva seguiti o forse la stanchezza le stava tirando un brutto scherzo.

 

Suonarono il campanello. Alan ci mise un po’ per andare ad aprire la porta.

“Ce l’avete fatta ad arrivare. Lo sapete che ora è?” protestò il Cavaliere del Serpente in… pigiama. “Mentre voi siete stati in giro a far bisboccia fino a quest’ora, io e Wolfie eravamo qui a preoccuparci.”

“Io lo uccido!” minacciò Leonidas.

“Cosa hai detto?” domandò Alan sturandosi le orecchie dai tappi per la notte.

“Ti metti i tappi per le orecchie?” chiese Adrien.

“Beh, mi sembra normale con il chiasso che c’è ogni notte in casa da quando sono arrivati quei tre”, disse indicando distrattamente Shad e i gemelli che si indicarono a loro volta senza capire.

“Ma tu”, chiese Zoe, “solitamente, quando ti tappi le orecchie ti tappi anche il cosmo?”

“Come mai questa domanda?” chiese il ragazzo in tenuta da notte.

“No, niente. Ma... neanche un brutto sogno, una strana sensazione, una vibrazione nella forza? Niente di niente?” indagò ulteriormente la ragazza.

Il cavaliere dagli occhi neri dissentì col capo, prima di farsi di lato per lasciarli entrare finalmente in casa, dopo una notte troppo, troppo lunga.

 

Fine

 

 

Qualche sera dopo…

 

“Ma dobbiamo farlo per forza?” si lagnò Alan.

“Ha salvato il mondo… ehm… credo”, spiegò Eros.

“Ma io nemmeno c’ero!”

“Un motivo in più per stare qui con noi e soffrire”, commentò Estéban.

“Ma… proprio Piccole Donne? Non potevamo vedere, che so Jurassic P…”

“Shhh! Comincia!” sibilò Dafne, stretta al suo sacchetto di popcorn, con aria esageratamente paciosa, affossata tra strati di pile e cuscini rosa.

 

Un’oretta più tardi…

 

“Ma… ricordo male io o… Beth moriva?” domandò Natalija con un filo di voce, ingoiando a vuoto, accoccolata tra Zoe e Estéban.

“No, anche io ricordavo…”, Zoe non finì la frase, raggelata dalla risatina inquietante di Dafne ai piedi del divano.

Gli occhi delle due ragazze si sgranarono.

“D… Dafne?” balbettò Zoe, “Ma quanti desideri hai espresso quando avevi tra le mani lo Skulkur?”

In tutta risposta la moretta scrollò le spalle con indifferenza e sorrise, dopo essersi lanciata tra le labbra un popcorn: “Chi può dirlo!”

Profile

lancethewolf: anatra col guscio da tartaruga (Default)
lancethewolf

April 2019

S M T W T F S
  12 3456
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930    

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jul. 4th, 2025 03:09 am
Powered by Dreamwidth Studios