Mar. 8th, 2019

Occhi verdi

Mar. 8th, 2019 10:04 pm
lancethewolf: anatra col guscio da tartaruga (Default)

Titolo: Occhi verdi

Cow-t 9, quarta settimana, M2.
Prompt: “Cadere e farsi male
Numero parole: 3472
Rating: Verde
Fandom: Miraculous - Le storie di Ladybug e Chat Noir

Introduzione: Dopo una battaglia Marinette si ritrova a stimare male i tempi di ritrasformazione dopo aver usato il suo Lucky charm. Nulla di terribile, Chat Noir non scoprirà il suo segreto, ma qualcosa è destinata ad accadere.
Genere: Commedia, introspettivo, romantico
Coppia: Chat Noire (Adrien)/Ladybug (Marinette)
Avvertimenti: Het
 

--- --- ---

 

“Chat Noir, A te!” arrivò, come sempre gentile e immediato, il comando di Ladybug a dare il tempo alle loro azioni.

“Hai tuoi ordini, insettina”, rispose a tono il supereroe, mentre sotto il suo Cataclisma, la lettera con l’adesivo a forma di Stella, si scuriva e cominciava a degradarsi fino a diventare polvere, liberando così l’Akuma che conteneva.

“È il mio turno adesso”, dichiarò Ladybug con un sorriso vittorioso. “Niente più malefatte piccola Akuma. Ladybug sconfigge il male!” continuò, attivando la capacità speciale del suo yo-yo.

“Presa”, esultò ormai ad un passo dal gran finale.

Un tocco e l’arma della paladina di Parigi si schiuse lasciando volare via l’Akuma tornata di un bianco splendente. “Ciao, ciao, farfallina!”

 

E poi, finalmente, eccolo: il momento che Chat Noir amava di più, il gran finale, appunto. Quello in cui la sua lady restituiva all’etere il Lucky charm, che svaniva tra luci e scintillanti cuori rossi.

 

Miraculous Ladybug!” e… tutto tornò al suo stato originario, avvolto dal nugolo d’amore creato dalla coccinella.

 

Uno scambio di sguardi tra i due ragazzi, prima di poggiare pugno contro pugno, un gesto divenuto automatico nella loro routine da supereroi.

“Ben fatto!” dichiararono all’unisono e anche quella avventura poteva dirsi conclusa.

 

E, come ogni volta, il gatto nero aveva la certezza che, da qualche parte nella loro città, Papillon stesse ribollendo di rabbia per quella nuova sconfitta, maledicendo Ladybug e… lui, chiaramente.

 

Un sorriso piegò le labbra del ragazzo, mentre mosse un passo verso l’eroina in rosso.

Come sempre avrebbe voluto dire o fare qualcosa che potesse cambiare la situazione tra loro, ma il Miraculous della coccinella stava lampeggiando il suo penultimo minuto.

 

“Scusami Chat…”

“Naaa, tranquilla. Lo so, devi andare.”

Il sorriso che lei gli dedicò, prima di annuire e lasciarsi sui tetti di Parigi gli era comunque bastato a riscaldargli il cuore, malgrado l’ombra di rassegnazione che aveva cominciato ad annidarglisi nell’anima da un po’.

 

Il tempo di sospirare nel vederla sparire nella notte che anche il suo anello cominciò a lampeggiare.

Il sorriso sulle sue labbra si allargò: non gli risultava più troppo difficile individuare a colpo d’occhio il riparo più valido per la trasformazione e Chat Noir tornò a vestire i panni di Adrien.

 

Era tardi, le strade erano deserte, quelle almeno che stava seguendo Adrien, mentre Plagg, accanto a lui, s’abbuffava con il suo agognato camembert.

 

Camminava mani in tasca, silenzioso, mentre il suo piccolo amico decantava le lodi del formaggio che aveva appena mangiato, quando ad un crocevia decise di improvvisare e… di tirare diritto.

“Ma… Adrien, casa è da questa parte”, dichiarò il piccoletto, indicando alla sua sinistra.

“Lo so, Plagg, ma non ho voglia di tornare, non subito almeno.”

“Ma come, e il letto? Pensi che si riscaldi tutto da solo, poverino?”

“Plagg!” lo richiamò divertito da quella sua inesauribile pigrizia. 

 

L’intermittenza luminosa degli orecchini di Ladybug si era fatta sempre più incalzante, mentre la ragazza si allontanava dal luogo dello scontro.

“Accidenti, non posso ritramutarmi in zucca proprio qui!” Si lamentò dopo essersi accorta di essere troppo distante da casa per continuare a correre sui tetti senza i suoi poteri.

Non era certa di quanto mancasse, ma qualche secondo, non di più. Fece appena in tempo a decidere di saltare su un tetto più in basso che la sua identità da paladina del bene, scomparve lasciando solo Marinette.

Erano a circa tre, quattro metri al massino dal suolo.

Sospirò arresa. “Ed ora?”

“Tranquilla, Marinette”, le disse Tikki con la sua vocetta squillante, anche se stanca per aver utilizzato i suoi poteri. “Il tempo di mangiare qualcosa, riprendere energia, trasformarti in Ladybug e il gioco è fatto.”

“Vero!” gioì la ragazza, mentre infilava le mani dentro la sua borsetta, “Ma… dove?” lamentò, mentre la mente le volò veloce alla prima del nuovo spot di Adrien in tv, quando, per la necessità di guardare il suo amato sullo schermo, aveva abbandonato i macaron per la piccola kwami accanto alla borsetta; solo accanto e poi per la frenesia di uscire si era dimenticata di prenderli.

“Oh, no!” La testa della ragazza, più che piegarsi, sembrò crollare verso il basso. “Stupida, stupida, Marinette!” si disse esasperata di sé stessa.

“Oh-ho! Qualcosa mi dice che siamo nei guai, vero?” domandò il piccolo esserino rosso nel vedere l’arrendevolezza dell’ultima custode del potere della creazione.

 

Dopo una serie quasi infinita di pensieri assurdi e dolorosissime rivelazioni che smontavano uno dopo l’altro i piani della ragazza, Marinette notò il tubo della grondaia.

Era pericoloso, ma Tikki era sempre più debole e non voleva certo rischiare di farla stare male, quindi… quindi, quando si accorse che a quell’idea l’unica controindicazione era il rischiare di potersi fare male, le sembrò più attuabile e meno folle di tutte quelle venutele in mente in precedenza.

 

Erano soli quanto, tre metri?

Poco di più forse, ma nessuno muore da una caduta di tre metri, dai!!!

Beh, sempre che non avesse sbattuto la testa, insomma con la testa non si sa mai e… proprio su questi pensieri si trovò appesa allo scolo di metallo di quell’abitazione.

 

“Non ci posso credere, Ladybug che si cala da una grondaia neanche fosse una ladra”, si lagnò, un po’ per abitudine, un po’ per allontanare quel pizzico di timore nello scendere a quel modo; anche se, certo doveva ammettere, che saltare da un palazzo all’altro appesa a un filo non era certo meno rischioso, ma… adesso era Marinette, non Ladybug e il caso voleva che Marinette non avesse né la forza e né la resistenza della supereroina.

 

Un nuovo sospiro la fece bloccare lungo il tubo a poco meno di metà percorso.

Mancava davvero poco, ma… i fermi di metallo di quello scolo non erano certo fatti per sostenere una persona e, ancora prima che Marinette potesse stimare come procedere, alcune delle fasce metalliche saltarono.

La ragazza perse l’equilibrio e, con questo, la presa.

“Marinette!” chiamò disperata la piccola kwami, ma grazie al cielo la caduta della ragazza era stata bloccata a pochi centimetri da terra, dall’impigliarsi della maglietta in un grosso chiodo sporgente.

Il tempo di tirare un sospiro di sollievo e strattonare la stoffa che Marinette si trovò piedi a terra, sana e salva.

E vai!” esordì, saltando sul posto e in faccia alle sue paure, ormai salva sul bordo di quel marciapiede, quando… “Ai!” in meno di un secondo si era ritrovata col sedere in terra.

 

“E meno male che le coccinelle dovrebbero essere insetti fortunati!” piagnucolò con le lacrime agli occhi, massaggiandosi una caviglia.

“Per essere precisi, si dice che portino fortuna, non che siano fortunati”, la corresse Tikki, posandosi sulla spalla della ragazza, mentre questa si alzava da terra.

Un passo e “Ai, ai, ai!” guaì per il dolore quasi fosse un cucciolo.

 

La sua euforia l’aveva fatta inciampare sui suoi stessi piedi dopo quel piccolo salto. Aveva barcollato per una paio di metri, tentando di recuperare l’equilibrio perso, ma, proprio mentre era stata convinta di esserci riuscita, il piede aveva incontrato il bordo del marciapiede e il risultato era stato quello: era caduta e si era fatta male. 

 

“Ma cosa…? Cosa ci fa lei qui?” gli occhi di Adrien si sgranarono per la sorpresa, mentre un’idea assurda gli sfiorò la mente. Non si prese neanche il tempo di rifletterci che… “Plagg trasformami!”

“No, non di nuovo.”

Ma a poco valsero le proteste del kwami, la trasformazione era già stata avviata e…

“Adrien non può stare in giro per Parigi a quest’ora, ma lo stesso non vale per Chat Noir”, spiegò comunque al piccolo amico. 

 

“Maledizione!” Sbottò delusa Marinette, “Come faccio ad essere tanto super quando sono Ladybug, quanto imbranata nella vita di tutti i giorni?”

Tikki stava quasi per risponderle, quando: “Qualche problema, signorina?” e a quella voce l’esserina fu rapida a sparire tra le pieghe della giacca della sua amica.

 

“Co… che?” bofonchiò sorpresa la ragazza, voltandosi e trovandosi faccia a faccia con l’eroe in nero. “Chat… Chat Noir?”

“In carne e coda, per servirla, madamigella”, scherzò lui, esibendosi in un profondo inchino.

“A quest’ora della notte, ma…”

“Gli eroi non dormono mai, dovresti saperlo”, rispose pronto, facendole l’occhiolino “piuttosto, tu? Come mai in giro a quest’ora?”

“Io, io… sì, certo, io… vedi, io…” cominciò a borbottare lei senza senso, mentre il gatto incrociava le braccia al petto con aria perplessa.

Per sua fortuna (barra sfortuna), la caviglia si fece risentire dolorosamente. “Sono caduta”, disse e le lacrime che le si formarono al lato dello sguardo erano più che reali dopo l’aver accennato a ciondolare sull’arto dolente. “Sono caduta”, ripeté con tono più basso e le guance arrossate dal dolore. “Ero lontana da casa. Il cellulare non funzionava. Avevo detto ai miei di dormire tranquilli, che avrei fatto tardi da Alya, ma non così tardi… e…”

“Lascia stare. Ho capito”, disse lui, accostandosi e prendendola in braccio senza alcuna fatica. “Avresti potuto chiedere a qualcuno prima che si facesse notte fonda”.

“Credevo di farcela”, cercò di spiegare (e bene o male, era davvero quello che pensava calandosi da quella grondaia), abbassando il tono e cercando di mandar via le lacrime.

“Penso sia il caso di andare in ospedale”, le sorrise lui, cercando di essere rassicurante, mentre lei si asciugava gli occhi umidi col dorso della mano.

“No, no, no”, lo bloccò immediatamente Marinette, che certo non poteva rivelargli che i suoi neanche sapevano che fosse uscita di casa a quell’ora della notte, “è solo una storta.”

“Uhm…” mugugnò il gatto nero. “Sicura?”

“Sì, sicura. Una semplice storta.”, annuì lei decisa, abbastanza convinta che se la caviglia fosse stata rotta le avrebbe fatto molto più male.

“Dai allora, ti porto a casa” dichiarò in fine lui, tornando a sorriderle e sistemandosela meglio tra le braccia.

Marinette si sentì sollevata da quell’ultima affermazione: non l’avrebbe ammesso apertamente, ma era stanca per la battaglia, preoccupata per Tikki e spaventata da quel nuovo evento.

Si poggio contro la spalla del ragazzo e il calore che emanava fu stranamente rassicurante. 

 

“Tieniti forte” le disse Chat Noir, mentre con la semplicità e l’agilità che lo caratterizzava la portò sul terrazzino della sua camera.

Marinette aveva obbedito senza protestare; non ne aveva voglia e poi, era da un po’ di tempo ormai che le era stato permesso di scorgere dietro l’aria arrogante dell’eroe parigino e sapeva che, oltre all’indomito gattaccio, c’era anche un bravo ragazzo e un animo sensibile.

Ricordava quel giorno in cui sentiva il suo cuore a pezzi e Chat Noir, per tirarle su il morale, l’aveva portata su quel tetto; aveva portato Marinette sul tetto di quello che doveva essere un appuntamento con Ladybug. Quel posto era stato allestito in modo incredibile, ogni cosa era talmente incantevole… le candele, le luci, Parigi di notte.

E Marinette aveva capito che quel ragazzo non meritava di essere trattato come stava facendo lei quando vestiva i panni di Ladybug e aveva voluto essere sincera, aveva dovuto. Appena ne aveva avuto l’occasione gli aveva rivelato che c’era un altro nel suo cuore e, malgrado sporadiche frecciatine, lui le era rimasto comunque al fianco, senza perdere il sorriso. E questo, doveva ammettere, l’aveva colpita più di quanto avesse mai potuto immaginare.

 

“Eccoci qui!” Le arrivò ancora la voce del gatto mentre, dopo essersi calato nella mansardina, la posava seduta sul letto. “Sicura di stare bene?”

Chat Noir perse un secondo a guardarla in viso, piegato davanti a lei, attendendo una sua risposta.

Marinette ancora annuì a quella domanda, ma nel vederlo immediatamente dopo alzarsi e volgere il volto al chiusino che lo avrebbe riportato all’esterno, sentì di non poterlo lasciare andare così, di dovergli chiedere: “Non vuoi proprio dirmi cos’è successo?”

Lui tornò a guardarla. Le sorrise. “Te l’ho detto, madamigella, gli eroi n…”

Il ditino che lei gli posò sulle labbra lo azzitti istantaneamente.

Marinette avrebbe voluto dirgli che sapeva benissimo che la battaglia era finita da diverso tempo (tutto il tempo che lei aveva impiegato a capire come scendere da quel tetto), che lui aveva usato Cataclisma e che, di conseguenza, aveva rindossato la sua maschera in un secondo tempo, ma… si rese conto troppo tardi che oltre a fare quel gesto, non avrebbe potuto aggiungere altro.

Fortunatamente per lei, Chat Noir sembrò farselo bastare. Le sorrise maggiormente e si piegò di nuovo sulle ginocchia per tornare a guardarla negli occhi.

“Ti capita mai di aver la sensazione di non riuscire a respirare?” Le chiese.

Lei piegò la testa di lato e prima ancora che gli rispondesse, lui riprese: “Ovviamente non nel senso stretto del termine, a respirare respiro, solo… fa male” e nel dirlo lo vide portarsi una mano al centro del petto.

A quel punto Marinette annuì; annuì per l’ennesima volta da quando si erano incontrati e si sentì invadere dalla tristezza. Non poteva esserne certa, ma qualcosa le diceva che era per colpa sua che… no, non esattamente per colpa sua, nel senso non per Marinette, ma per Ladybug che Chat Noir stava male. E, oltre a questo, sì, sapeva esattamente cosa volesse dire sentirsi qualcosa opprimere il petto al punto di non essere sicura di riuscire a respirare; lo sapeva perché era la sensazione che provava ogni volta che vedeva Adrien stare male, che lo sentiva dire che erano solo amici, o quando sorrideva alla ragazza di turno che a Marinette sembrava sempre, sempre, sempre più graziosa di lei. 

 

Abbassò lo sguardo abbattuta, dolorante, amareggiata da quello che provava e da come faceva stare quel gattone che infondo sapeva non meritarsi quello stesso dolore, ma… lei non poteva davvero farci nulla: non poteva dire al suo cuore chi amare, non funzionava così ed era questo, proprio questo che tutta quella situazione le faceva ancora più male in quel momento.

 

“Ehi, adesso non fare così!” La riprese lui, sollevandole il viso con una carezza. Ancora trovò il sorriso di Chat Noir ad attendere il suo sguardo.

Le piaceva quel sorriso: quando non era arrogante, era dolce, incredibilmente dolce, proprio come quello del suo Adrien.

“Non volevo renderti triste.”

“È per Ladybug, non è vero? Stai ancora male per lei?”

Lui si limitò a fare spallucce. “Un pochino, ma passerà.”

Marinette lo abbracciò d’istinto.

Il ragazzo rimase sorpreso, ma solo per un attimo. Poi, abbracciandola a sua volta, le chiese: “Tu invece? Come stai? Quel ragazzo che ti aveva fatto sentire tanto giù continua a non vedere ad un palmo dal suo naso?”

Annuì e… quante volte voleva continuare ad annuire a quel gattone?

L’ironia della cosa non migliorò di molto il suo stato d’animo, ma gli sorrise perché pur stando male, Chat Noir cercava di essere divertente nel suo modo di esporre le cose; cercava di essere divertente per lei e… lo era.

 

Proprio quella mattina a scuola, invece, Adrien era stato molto duro con lei.  

“Non è bello ridere delle sventure altrui”, le aveva detto e si era apprestato ad aiutare quella che era stata la sua unica amica durante l’infanzia a sollevarsi da terra.

Marinette si era sentita (e si sentiva) una sciocca per quel che era accaduto. Sapeva quanto il ragazzo tenesse a Chloè, pur essendo tanto odiosa, eppure Lei aveva gioito della sua pessima figura.

Non avrebbe dovuto e non solo perché così facendo aveva ferito i sentimenti di Adrien, ma perché, anche se Chloè si meritava molte delle cose che le accadevano, ormai era certa che a battere nel petto della ragazza c’era il cuore di un’eroina, altrimenti non sarebbe stata proprio lei a consegnargli il Miraculous dell’Ape.  

Una parte di lei era stanca di stare così male per Adrien, ma non poteva farci nulla, preferiva stare male al non potergli più stare accanto e forse… forse per quel gattastro era lo stesso con Ladybug.

Cielo, quanto odiava la sua doppia identità a volte!

 

“È quel musicista, vero?” le chiese ancora, “Quello che suona la chitarra elettrica.”

“Luka?” domandò a sua volta, imbarazzandosi senza volere.

“Sì, proprio lui”, confermò Chat Noir, allontanandosi di poco per osservala negli occhi.

“No, no, no, no” rispose rapidamente lei, liberandolo dal suo abbraccio per agitare freneticamente le mani davanti al viso, “È più grande di me, per carità è carino, ma… cioè no. No, che non sia carino o che c’entri l’età. Non è mica decrepito. Solo… No nel senso che non è lui… insomma… uffa!” Doveva ammettere che se non avesse avuto Adrien nel suo cuore, avrebbe sicuramente nutrito dell’interesse per il fratello di Juleka. Ma come mai si trovava a sciorinare concetti scoordinati e a comportarsi da imbranata con Chat Noir?

Di solito quello era un atteggiamento che riservava, suo malgrado, ad Adrien!

Sospirò.

 

“Sarà, ma chiunque sia, dammi retta, è un vero cretino se non vede che ragazza fantastica sei.”

Marinette gli sorrise. Sapeva di non sbagliarsi quando pensava che quel gatto sapeva davvero essere gentile quando voleva.

Le aveva salvato la vita non ricordava più nemmeno lei quante volte. Era sempre così premuroso con lei, malgrado non si conoscessero davvero. Accidenti, quanto avrebbe desiderato poterlo amare come lui l’amava, come amava Ladybug.

“E, lasciatelo dire, Chat Noir, quella coccinella è davvero una sciocca a preferire un altro a te”, gli disse e solo il cielo poteva sapere quanto lo pensasse davvero.

Lo vide sorridere, accostarsi con il volto al suo e… “Grazie”, le disse, posandole un bacio su una guancia, “sei sempre così carina con me, ma non si parla male dell’eroina di Parigi!” Il tono era scherzoso, eppure la difendeva; la difendeva anche in quel momento, malgrado lei gli avesse spezzato il cuore e continuava a farlo, nemico dopo nemico, perché era impensabile per Creazione e Distruzione non lottare insieme.

La difendeva e, cielo, quanto le dava fastidio. Era così arrabbiata con Ladybug. Assurdo!

 

Ma non assurdo quanto le sue braccia che, mentre Chat Noir si scostava dal suo viso, gli si allacciarono intorno al collo, non permettendogli si allontanarsi; non assurdo quanto il bacio che le sue labbra gli rubarono.

 

Marinette ci mise un secondo a capire che aveva fatto una sciocchezza, ma si era mossa d’istinto, e lui… lui le si era praticamente paralizzato tra le braccia. Quel bacio era durato esattamente il tempo di quel secondo e, quando l’aveva liberato dalle sue labbra, si era sentita morire nel trovarsi gettata senza preavviso nel suo sguardo sorpreso.

 

“Scus… scusa io…” cosa voleva dire? Non lo sapeva nemmeno lei, ma era stata gelosa; gelosa di tutto l’amore che quel Micio provava per Ladybug e a poco le era valso sapere che Ladybug fosse lei.

Fatto fu però che, qualunque cosa volesse dire, non fece in tempo a finire quella frase perché Chat Noir tornò ad abbracciarla e la baciò a sua volta, d’impeto e talmente teneramente da sentirsi sciogliersi in quell’abbraccio, mentre entrambi si persero a gustarsi l’un l’altra con lenta dolcezza.

 

“Sì, quel Luka è davvero uno stupido”, le sussurrò lui sul filo delle labbra al termine di quel lungo bacio.

Rimasero qualche secondo occhi negli occhi senza dire altro, fin tanto Chat Noir non la sciolse del tutto da quell’abbraccio.

“Devo andare”, le disse e…

Sì, era meglio che andasse, si trovò a pensare lei, riuscendo solo ad annuirgli in risposta.

 

L’osservò indietreggiare mentre la guardava, prima di sorriderle, lanciarle un saluto con due dita e sgattaiolare oltre l’imposta che portava alla terrazza, fuori dalla sua stanza.

 

“Ha gli occhi verdi” disse con voce fievole, lasciandosi cadere all’indietro tra i cuscini, mentre Tikki riusciva finalmente a uscire dalla sua giacca.

“Temevo di morire soffocata”, lamentò la kwami, librandosi nell’aria priva di peso.

Marinette rimase a fissare il soffitto, non aveva avuto la forza di contraddire Chat Noir su Luka, quel bacio l’aveva lasciata come svuotata.

“Ha gli occhi verdi”, ripeté. Aveva sempre avuto un debole per gli occhi verdi.

“Come Adrien”, si lasciò sfuggire, forse incautamente, la sua piccola amica.   

 

“Ritrasformami” ordinò Chat Noir, lasciandosi scivolare dell’alta vetrata della sua stanza fin sul pavimento.

La sua identità da supereroe si dissolse in una nuvola di schegge nere come la notte.

Adrien si avviò a passo deciso verso il suo letto, mentre il Kwami del Gatto più rapido di lui, già aveva preso a frugare tra i cuscini alla ricerca di un pezzo di formaggio che facesse al suo scopo.

“Eccoti bellezza, sapevo di averti messo quì!” disse il piccoletto, “Sono esausto” aggiunse poi e si lascio andare, gettandosi sdraiato tra le coperte, abbracciato al suo adorato formaggio, proprio mentre anche Adrien faceva lo stesso.

 

Lo sguardo del ragazzo puntato verso il soffitto, i suoi occhi chiari illuminati appena, dalla luce delle stelle che filtrava attraverso i vetri.

“Sai Plagg”, disse richiamando l’attenzione del suo piccolo amico.

Il Kwami si voltò a guardare quel profilo, per una volta più attento al nulla che al riprenderlo per le sue pessime abitudini.

“Un’amica”, riprese Adrien, “una volta mi ha detto che spesso il più grande errore di uno schermitore non è scegliere la tecnica sbagliata, ma… scegliere il bersaglio sbagliato.”

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