lancethewolf: anatra col guscio da tartaruga (Default)
lancethewolf ([personal profile] lancethewolf) wrote2019-04-03 05:58 pm

il fuoco dentro

Titolo: Il fuoco dentro

Cow-t 9, settima settimana, M5.
Prompt: “Fuoco”
Numero parole: 1836
Rating: Verde
Fandom:
The legend of Korra (non proprio)

Introduzione:
Jizu è un ragazzino come tanti adesso, ma non può dimenticare il suo passato.
Genere
Commedia, Slice of Life
Coppia: Nessuna
Avvertimenti:
Universo di Avatar, personaggi originali.

 

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Era rimasto a guardare la fiamma della candela a lungo prima di cercare di toccarla, e subito aveva ritirato la mano.

Aveva poi tentato di nuovo e di nuovo la fiammella l’aveva come pizzicato e se la prima volta gli aveva fatto male, la seconda era stata quasi… divertente.

Possibile?

La mamma gli aveva sempre detto che non doveva giocare con il fuoco, che il fuoco faceva male, ma a lui piaceva così tanto.

 

Aveva visto in strada dei giocolieri pochi giorni prima, facevano miraggi con le loro fiamme.

Ne era rimasto talmente incantato.

 

Suo papà e la sua mamma non erano dominatori, ma lui… forse.

Beh, lui un pochino lo sperava.

Infondo poi il fuoco non era tanto male. Anzi era bello, incredibilmente bello.

Vivo, questo era il temine che gli sembrava più appropriato.

Vivo.

 

Ancora allungò la mano.

No, purtroppo non riusciva a fare a meno di retrarla non appena la fiamma lo pungeva.

 

Gli occhi erano fissi sul tremolare di quel piccolo miracolo che a volte divampava quasi a rispondere alle domande segrete del suo animo.

 

Viveva nel Regno della Terra, ma la sua famiglia veniva dalla Nazione del Fuoco e ogni cosa nella sua casa, attorno a lui parlava di quell’energia pulsante. Malgrado questo però, i suoi genitori non facevano che dirgli che la fiamma era pericolosa.

 

Pericolosa.

 

Pericolosa, ripeté per l’ennesima volta nella sua testa.

Eppure sembrava che lo chiamasse.

 

Era sempre stato bravo lui.

Tutti dicevano che era un bambino disciplinato e obbediente e non aveva mai infranto una sola regola di quella casa, neanche quella di non giocare con il fuoco, malgrado a lui piacesse tanto.

Nella giornata appena trascorsa era stato particolarmente bravo, tutti a scuola gli avevano fatto i complimenti e forse… forse per una volta poteva fare uno strappo alla regola.

 

Oltretutto cosa volevano dire mamma e papà quando dicevano di non giocare con il fuoco?

Lui questo non lo capiva.

Non poteva toccarlo perché lo pizzicava e non poteva certo dare fuoco alle cose o si sarebbero rovinate.

Era piccolo, era vero, ma queste cose le sapeva.

Forse l’unico modo che aveva di giocarci era guardarlo o… portarselo in giro.

Forse dargli un po’ da mangiare.

 

Dargli da mangiare.

Sì, questo poteva essere divertente!

Non era come appiccare il fuoco, quindi non doveva rientrare tra le cose pericolose, oltretutto aveva visto il suo papà dare spesso da mangiare al fuoco nel camino e lui aveva capito come si faceva.

Bastava portare qualcosa dalla fiammella per farla divertire.

 

Farla divertire.

Se era viva come sembrava probabilmente giocava come giocava lui o il suo gatto.

Lui sicuramente si sarebbe divertito.

 

Quindi prese quella candela dalla lanterna, la portò fino in camera sua.

 

Era notte i suoi ancora dormivano, ma dato che era piccolo lasciavano sempre quella lucina accesa nel corridoio e la porta socchiusa in modo che potesse vedere quella luce e sentirsi tranquillo.

La lasciavano lì, isolata, dove non potesse bruciare nulla, lontano da cose che potevano prendere fuoco. Chiusa in una gabbia di vetro e metallo e con un unico piccolo spiraglio per l’aria sulla cima che ricordava un piccolo comignolo.

 

Era in alto. Era lì perché i suoi non volevano che la raggiungesse, ma era da un po’ che allungandosi sulle punte aveva notato che riusciva finalmente ad arrivare al ripiano di marmo dove l’adagiavano.

Infondo dicevano tutti che era un bambino alto per la sua età.

 

Aveva già aperto lo sportellino per toccarla e non era successo nulla, quindi cosa poteva accadere di tanto grave se l’avesse portata con lui in camera sua?

 

L’aveva appena liberata dalla sua prigione che vide la fiammella divampare più alta.

Doveva essere contenta, pensò lui, finalmente libera di respirare come si doveva, proprio come piaceva a lui quando usciva la mattina presto a giocare in giardino.

 

L’appoggiò sul comodino accanto al suo letto.

La guardò ancora un poco.

Si sentiva felice, tanto felice e non sapeva nemmeno lui il perché.

Chissà se anche quella fiammella era felice in quel momento.

Lui sperava tanto di sì, ma mancava ancora qualcosa: aveva promesso.

Lo aveva fatto solo nella sua testa, ma aveva promesso a quel piccolo fuoco di dargli da mangiare, ma cosa?

 

Si guardò in giro.

Indagò tra i giocattoli, ma non trovò nulla che potesse fare al caso suo. Scorse di seguito sulla cartella per la scuola e si illuminò.

Non voleva certo darle da mangiare i suoi libri o i suoi quaderni, ma c’erano quegli appunti ormai trascritti in bella che non servivano più.

 

Prese quindi il taccuino.

I fogli erano piccoli, ma non era un bambino incosciente, i suoi non l’avevano cresciuto così.

Forse stava un pochino contravvenendo ad una delle regole della sua casa, ma avrebbe fatto tutto con estrema cautela in modo che nessuno se ne sarebbe accorto.

Non era poi così difficile, no?

 

Strappò il primo foglietto. Lo fece a striscioline sottili e ne mise una sulla fiammella. Famelica passò a quel pezzettino di carta, dividendosi, crescendo e divorandolo verso l’alto, lasciandone solo la cenere e un triangolino bruciacchiato sul bordo, unico rimasuglio di dove lui teneva le dita.

 

La fiamma era stata carina, pensò, non lo aveva bruciato.

 

Ridacchiò contento. Era stato divertente, ma soprattutto facile.

Prese perciò un'altra strisciolina e ancora la fiammella della candela ebbe di che giocare e anche lui.

Era bello giocare insieme.

 

Ne aveva mangiata di carta quella piccola fiamma, mentre lui ridacchiava allegro.

 

Forse saranno state le sue risa, o forse chissà cos’altro, ma…

Jizu?! Cosa fai?” Gridò la sua mamma all’improvviso, entrando nella sua stanza e spaventandolo.

 

Lui sobbalzò forse o scoppiò a piangere, non lo ricordava bene, fatto fu però che quella piccola fiamma avvampò.

 

Avvampò come se avesse mangiato migliaia di strizione di carta, anzi, ancora di più e poi…

Poi tutto andò a fuoco, tutto!

La casa, la sua cameretta, tutto.

Tutto, compresi la mamma e il papà.

 

 

Jizu? Era Jizu, era la voce del suo Jizu.” Lan Chen si svegliò di soprassalto alle grida del figlio.

Scese rapidamente le scale in preda ad un panico che non aveva mai provato prima d’allora nel petto.

Jizu era sempre stato il più calmo dei suoi ragazzi e certo non urlava, non in piena notte, non in quella maniera.

 

Entrò nella stanza con il cuore in gola e trovò il ragazzino seduto sul letto, con lo sguardo spalancato fisso nel vuoto e ricolmo di lacrime.

Boccheggiava senza fiato e le ci volle un attimo per scoppiare anche lei in lacrime nel capire che non era successo nulla di grave, che era stato solo un brutto sogno.

Lo strinse forte a lei, ciondolando su se stessa, coccolandolo proprio come faceva con i più piccoli.

Jizu si voltò di scatto nel suo abbraccio affondandole il viso nel petto. Piangeva senza fiato, con i pugni serrati attorno la stoffa della sua camicia.

“Va tutto bene, sono qui, tesoro!” Disse con tono amorevole Lan Chen, accarezzandolo, ritrovando finalmente il fiato per respirare dopo la paura presa.

 

“Mamma Lan, cosa ha il fratellone?” Arrivò assonnata la voce di Li Wei dalla porta.

Il bimbo se ne stava a piedi scalzi afferrato allo stipite, nel suo pigiamino verde oliva, a strofinarsi gli occhioni ancora pieni di sonno.

“Nulla tesoro, ha fatto solo un brutto sogno”, tentò di rassicurarlo lei, mentre anche il resto dei figli accorreva.

“Lan Chen?” chiese il maggiore.

“Nulla, Kimo, solo un brutto sogno. Riporta i piccoli a letto, puoi?” rispose lei, continuando a cullare il figlio che stringeva tra le braccia.

 

“Scusa. Scusa Mamma Lan, non volevo svegliarti. Non volevo svegliare nessuno”, disse Jizu tra le lacrime, non appena il resto della sua famiglia si dileguò.

“Ahhh, non preoccuparti, io adoro svegliarmi di notte, non lo sai?” disse Lan Chen scherzosa, cercando di rincuorarlo, continuando a passare la mano con dolcezza tra i capelli neri e sottili del suo bambino.

 

Lentamente il ragazzino sembrò quietarsi e allentare la presa.

Lan Chen si asciugò le lacrime, attenta a non farsi scorgere da Jizu.

“Vuoi che rimanga a dormire con te stanotte?” Gli chiese e all’annuire del figlio riprese con fare spiritoso: “Allora fatti più in là, moccioso!”  

Sorrideva dandogli di fianco, non liberandolo però dal suo abbraccio.

 

“Mammaaaa!” Protestò Jizu, lasciandosi sfuggire una risatina, mentre Lan Chen scivolava a stendersi sul lato del letto, sopra le lenzuola, e solleticandolo al punto di farlo ridere ancora.

Anche la giovane donna rise, mollandogli un bacio sulla fronte solo una volta soddisfatta delle risa argentine del suo bambino.

“E adesso a nanna che domani mattina abbiamo la sveglia presto! Tua nonna viene a prenderti e sai quanto è…”

“Fastidiosa e petulante se le cose non sono fatte come vuole lei!” l’interruppe lui quasi fosse un ritornello ripetuto anche troppo spesso.

“Uff!” sbuffò lei, “forse l’avrò detto qualche volta di troppo, ma questo non lo rende meno vero, sai?”

Jizu, per tutta risposta, le si accomodò meglio contro.

 

“Buona notte, piccolo mio.” Un nuovo bacio si posò sulla fronte del ragazzino dagli occhi ambrati.

“Buona notte, Mamma Lan” e finalmente le mani di Jizu si schiusero, liberando la camicia della madre mostrando la stoffa bruciata sotto la sua presa.

 

 

Lan Chen aveva notato subito il copriletto bruciato sotto le mani del figlio, per questo il suo cuore aveva continuato a battere all’impazzata fin tanto non si era calmato.

Aveva sentito la pelle bruciare, ma i suoi bambini ne avevano passate tante, troppe, per lasciare che la paura o il dolore prendesse il sopravvento.

Jizu era il più gentile e premuroso dei suoi figli, la vita era stata dura per lui, più che per altri.

Non sapeva esattamente cosa avesse perso prima che lo prendesse con lei; era solo un bambino all’epoca e non ne aveva mai parlato, ma Lan Chen ricordava le ferite sulla sua schiena e anche in quel momento, mentre scorreva confortevole con la mano in piccoli cerchi contro la pelle del figlio poteva sentirne le cicatrici sotto le dita quasi fossero ricami della stoffa che indossava.

Non importava però quali e quante fossero le ferite subite in passato, Lan Chen era sicura che a tormentare il suo bambino più di ogni altra cosa fossero quei ricordi di cui non le aveva mai parlato.

 

 

Giocare con il fuoco, fu la prima regola che Jizu infranse, ce ne furono altre dopo alle quali contravvenne, per paura o per costrizione, prima che incornasse la sua nuova mamma.

Ancora non capiva con precisione in quale preciso momento Lan Chen era diventata parte della sua vita, se quando l’aveva guardato negli occhi la prima volta o quando aveva detto che lo voleva con se.

No, non lo sapeva con certezza, ma sapeva che la sua anima aveva promesso silenziosamente che il suo dominio non avrebbe mai più fatto del male alle persone che amava. E in quella notte riconfermò la sua promessa: se lui e il fuoco non potevano non esistere separatamente allora avrebbe usato la sua fiamma per difendere la sua nuova famiglia, sempre, in ogni momento, con tutto se stesso.