lancethewolf: anatra col guscio da tartaruga (Default)
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Titolo: “Ritorno a Motu Nui”

Cow-t 9, settima settimana, M5.
Prompt: “Acqua”
Numero parole: 3933
Rating: Verde
Fandom: Moana/Oceania (Disney - classici)

Introduzione: è passato del tempo, ma nel cuore di Moana è ancora vivido il ricordo della sua avventura con Maui.
Genere: Romantico, Introspettivo, Fluff
Coppia: Moana/Maui
Avvertimenti: Nessuno (tranne: acqua tanta acqua da per tutto XD)

Note: Tantissimi auguri di buon compleanno a Donnasole, a cui è dedicata questa storia! Auguriii!!!

 

--- --- ---

 

La conchiglia, col tempo e la salsedine, si era cementata al resto delle pietre deposte da ogni singolo capo, diventando un tutt’uno, proprio come ogni isola era tutt’uno col mare: Moana era tornata.

Era sulla vetta che sovrastava il piccolo villaggio e la foresta, la più alta di Motu Nui. Erano passati dieci anni, ma la sua isola sembrava ferma nel tempo a parte… Distolse lo sguardo dall’altare delle memorie della sua gente con lo stupore, mai perso crescendo, di quanto l’immensità azzurra fosse seducente; lasciò che scorresse oltre la spiaggia, oltre il mare calmo, oltre il Reef, e accarezzò la vastità oceanica perdendosi verso l’orizzonte; quella vastità finalmente tornata a essere la loro casa, la sua casa. Tutto era partito da lì, dal momento in cui il suo popolo aveva riavuto indietro l’oceano.

 

«Ho trovato la mia strada, nonna», raccontava la giovane donna al mare. Era seduta sulla spiaggia, poco lontano dal bagnasciuga. Il sole era tramontato da poco e ancora il cielo era percorso da sfumature viola e blu che sembravano volerne delimitare i confini con gli abissi. «Sono il capo adesso e sono orgogliosa di esserlo. Il nostro popolo sa finalmente chi è, chi è stato e non teme cosa sarà. Abbiamo ritrovato le nostre radici e aperto una nuova via verso il futuro. Sono tornata per celebrare tutto questo. Per celebrare il momento in cui abbiamo riavuto indietro la nostra storia, il nostro orgoglio di navigatori.»

Un baluginio lontano tra le onde le diede la calda sicurezza di essere ascoltata.

Sorrise dolcemente, quasi qualcuno la sfiorasse e le cingesse le spalle nel tepore di un abbraccio. Sospirò coccolata da quella sensazione e dal suono sibilato dell’andirivieni delle onde contro la sabbia.

«Sono tornata, ho compiuto il mio destino, ma allora… perché? Perché sento che manca ancora qualcosa? Cosa c’è di sbagliato in me?»

 

«Moana!» Un richiamo spezzò la bolla di nostalgia che l’avvolgeva, riportandola alla realtà.

Non troppo lontano, due giovani donne trasportavano cesti di frutta, facendole cenno di avvicinarsi. «Vieni? Abbiamo finito, possiamo fare due chiacchiere, prima della festa.»

Moana sorrise loro, ma dissentì col capo. «Grazie, vi raggiungerò più tardi, ho ancora delle cose a cui pensare», rispose con voce gentile ed era vero, doveva riflettere: non avrebbe mai creduto, se glielo avessero detto, che tornare nella sua isola avrebbe potuto scuoterla tanto.

 

Appena le donne si allontanarono, lei si gettò all’indietro: sdraiata sulla sabbia, le braccia incrociate dietro la nuca e lo sguardo fisso, scrutava le stelle alla ricerca del segno che, tanto, tanto tempo addietro, le aveva indicato la via da seguire.

Stava per cedere alla nostalgia, ma si ritrovò a sorridere nell’udire un becchettare conosciuto che si faceva sempre più vicino.

Socchiuse gli occhi, soffiando dalla bocca rassegnata, prima di voltare il capo verso la fonte di quel suono: HeiHei III le si stava avvicinando, ingoiando conchiglie come fossero semenza.

«Non posso sperare di rimanermene un po’ in pace, vero?», chiese con una nota d’ironia nella voce, tirandosi nuovamente a sedere, mentre il polletto le razzolava attorno. «Sei stordito esattamente come il tuo antenato», commentò mentre l’animale, incurante delle sue parole, continuava quel banchetto a base di… nulla. Nulla di commestibile, quanto meno.

«HeiHei sì che era un avventuriero, mica come te!», riprese, sollevandosi e seguendo il giovane pollo. «Mi ha accompagnata in viaggio per recuperare il cuore di Te Fiti con…», si bloccò, abbassando uno sguardo sconsolato, «…Maui.»

 

Chissà dov’era finito quello ragazzone tutto muscoli e… poca voglia di rimettersi in gioco?

Ritrovò il sorriso a quel pensiero: solo a lei poteva venire in mente di chiamare “ragazzone” un semidio… e senza che glielo avesse mai concesso, chiaramente.

Scoppiò a ridere, per poi riportare l’attenzione sul polletto.

«Se ti vedesse così bello in carne ti mangerebbe in un boccone, lo sai?», lo canzonò riprendendo a ridere talmente di gusto che si ritrovò piegata su sé stessa a tenersi la pancia.

Cielo, da quanto non rideva così?

Si asciugò una lacrima, mentre quietava il riso.

Un riso strano, in grado di trasportarla indietro nel tempo; un riso misto a tenerezza e malinconia, sensazioni che l’avevano invasa e non volevano saperne di abbandonarla.

 

Sollevò lo sguardo alla ricerca di HeiHei. Fece in tempo a vederlo continuare a beccare lungo il ponticello di legno poco più avanti e domandarsi come avesse fatto a non cadere tra un’asse e l’altra, distratto com’era, che lo vide tirare dritto fino all’acqua.

«HeiHei!», gridò, gettandosi preoccupata in mare per recuperarlo.

 

La luna si mostrò splendente in cielo, proprio nel momento in cui il pollo vi si stagliò contro, riemergendo dell’acqua, tenuto per il collo dalla mano della giovane donna.

Moana riprese fiato, emergendo a sua volta, rivolgendosi a HeiHei apparentemente stecchito, «Che ti chiamo a fare? Non sai nemmeno riconoscere il tuo nome!», disse, facendo spallucce per poi sbuffare contro una ciocca bagnata che le ricadeva davanti al viso, scostandola il giusto per ritrovarsela, l’attimo dopo, spiaccicata a dovere contro il naso.

«Ahhh!», sospirò arresa, alzandosi e tornando verso la verso la spiaggia. Il tempo di poggiare il pollo sulla sabbia che questi, trovatosi all’asciutto, rinvenne istantaneamente, spalancando gli strabuzzanti occhi a palla e sfuggendole di mano.

«Ma che di…», stava per inveire contro l’animaletto, se non fosse che, in quell’esatto momento, la periferia del suo sguardo venne catturata da una scia luminosa che squarciò le acque scure dell’oceano, mentre si avvicinava alla riva.

«Nonna Tala», pensò voltandosi: la sua nonnina doveva averla davvero sentita e stava arrivando in forma di manta per confortarla, per spiegarle cosa non andasse in lei.

Spinta dall’euforia, mosse qualche passo verso la luce, prima di lanciarsi in una corsa.

Un paio di passi veloci, fin quando HeiHei non decise di tagliarle la strada.

Moana schivò per miracolo il pollo, ritrovandosi a incespicare sui suoi stessi piedi, tentando di recuperare equilibrio, barcollando incontrollata sul bagnasciuga, per inciampare infine su una roccia semi nascosta nella sabbia e cadere in acqua con il didietro all’aria.

 

HeiHei III continuava a beccare in terra, inconsapevole di quanto gli fosse appena avvenuto attorno.

 

Moana sollevò la testa dall’acqua, sbuffando, ritrovandosi nuovamente bagnata dalla punta dei capelli a quella dei piedi e con una meravigliosa vegetazione d’alghe tra i capelli.

Si lasciò andare seduta, gridando: «Accidenti HeiHei, vuoi stare un po’ più attento!»

Parole al vento, il polletto dal DNA stordito aveva preso a banchettare, o almeno ci provava, con una grossa noce di cocco rotolata sulla sabbia.

 

Distratta dall’accaduto, con i capelli davanti agli occhi e apparentemente dimentica del bagliore tra le onde, si sentì sollevare di peso e rimettere in piedi.

«Carina, è l’ultima moda di Motu Nui? Direi che fa molto… ehm… abissi

Quella voce spavalda le giunse ovattata dall’acqua nelle orecchie.

«Fammi indovinare, tu sei il simpaticone del villaggio, giusto?», rispose lei, chinando la testa a destra e a sinistra e tormentandosi l’orecchio di turno come per farne uscire l’acqua.

«Simpati-cosa? Ehi, sono io», rispose a sua volta quella voce con tono offeso. «Io. Quanti eroi conosci che salvano donzelle dal mare?»

 

«Maui?!», la mente della giovane stentò a crederlo eppure... il tempo, da parte del semidio, di scostarle da un occhio una ciocca farcita d’alga, e se lo ritrovò davanti.

Il cuore mancò un battito, mentre il ragazzone, in posa plastica, continuava incessante il suo blaterare: «Comunque, anche un semplice “Ciao” poteva andare, certo, sarebbe stato meglio un “Wow, bel fustacchione ti vedo in forma”, ma pazienza», aggiunse in falsetto, per poi riprendere: «Il punto è che passavo da queste parti e…»

Mentre Maui era intento a toglierle, una dopo l’altra, le alghe dai capelli, quel folle monologo improvvisato, troppo serrato per permetterle d’intervenire, non poté che scatenarle un moto d’allegria mista a sollievo.

Era lì! Il suo amico era lì, davanti a lei, entrambi con i piedi a mollo, ma era lì.

 

Il Mini-Maui tatuato sul pettorale dell’eroe bussò per richiamarne l’attenzione, riuscendo a bloccare quel farneticare.

«Uh?», uscì interrogativo dalle labbra del semidio, mentre voltatosi a guardare il piccoletto si colpì di seguito col palmo in fronte. «Ah, sì giusto! Quasi dimenticavo», esordì a quel punto, tirando fuori dall'acqua un’enorme zampa di crostaceo, continuando poi: «Per la zuppa. Sapevo della ricorrenza. Insomma è oggi, giusto? Ho pensato fosse forte festeggiare con gli amici o… beh, almeno con parti di loro. Non era necessario portarlo tutto, vero? Quanti hai detto che siete nel villaggio?»

 

Moana seguiva quel soliloquio, annuendo, ancora in parte incredula che quello davanti ai suoi occhi fosse proprio quel folle di un semidio, ma… era vero, doveva essere vero, perché le cose sembravano sempre un po’ fuori posto quando s’incontravano, nulla era mai perfetto eppure, riuscivano a stare bene insieme; lei stava bene, malgrado il bagno improvvisato, le alghe e i piedi ancora a mollo. Doveva davvero esserci della magia per riuscire a star bene anche quando le cose erano tutto tranne che perfette o probabili. “Magia”, questo doveva essere quello che Maui aveva portato con sé sull’isola, perché improvvisamente Moana non sentiva più quella strana malinconia che da tempo le si era annidata nel cuore.

L’allegria aveva preso il posto di quel sentimento grigio, scuotendole le spalle tanto costringendola a ridacchiare, divertita da quel fiume di parole in piena: malgrado il tempo passato, Maui era sempre lo stesso.

 

«Ehi, non starai ridendo di me, ragazzina?», sbottò lui, puntando entrambi i pugni sui fianchi e mettendo su un’espressione offesa.

Il tatuaggio lo riprese di nuovo, colpendolo con un pugnetto sul pettorale, come a ricordargli di comportarsi a modo.

Il tempo per Moana di ricomporsi, cercando di nascondere il riso dietro una mano, e dire «Povero Tamatoa», che il ragazzone, petto in fuori e sorriso smargiasso, dichiarò soddisfatto: «Vedo che lo hai riconosciuto. Non sai che storia! Ha del mitologico e, se te lo dico io che sono un mito, puoi crederci». Un occhiolino, prima di continuare: «Mi trovavo a passare per le acque attorno all’ingresso del Lalotai, il Regno dei Mostri, quando…»  

Ancora il piccoletto sul suo petto l’interruppe, piegando la palma tatuata e tirandogli un cocco, ehm… tatuato, appunto, contro una spalla.

«Ahi! Ehi, ma cos…?», protestò Maui, massaggiandosi la parte colpita, «Che c’è? cosa c’è che non…»  

Il tatuaggio, riottenuta la sua attenzione, tornò a interromperlo, battendo un piede sul posto e mostrandogli una mappa con un grossa “X” al centro.

«Ok, ok, forse non ci sarò finito proprio per caso, ma non puoi dire che io non sia stato fantastico!»

Ancora il Mini-Maui ebbe da ridire sul come si erano svolte le cose, mutandosi in una sorta di crostaceo stilizzato che scuoteva una sua versione ancora più mini, tenendola per il collo tra le sue chele.

«Va bene, va bene, forse non è stata esattamente una passeggiata, ma non puoi dire che non abbia mostrato grande valore nel…»

Ancora il piccoletto, tornato alla sua forma originale, gli fece cenno di rallentare con le mani, prima di mimare il gesto di raccogliersi i capelli e acconciarli.

«Giusto!», esordì Maui, battendosi il pugno sulla mano, il tutto davanti a una Moana attenta, e soprattutto, divertita come non capitava da anni.

«Dove diamine l’ho ficcato!»  Aggiunse ancora l’eroe degli uomini e delle donne, ovviamente, cominciando a cercare tra le foglie sempre verdi del suo gonnellino, blaterando ad alta voce i suoi pensieri: «Da non credere quanta roba ci si perda oggigiorno tra le foglie di… Eccolo!», finì entusiasta, tirando fuori un fermacapelli di un intenso color… ehm… crostaceo.

Prima che Moana potesse mettere a fuoco la situazione, il piccoletto tatuato batté nuovamente sul petto dell’eroe, indicandogli la ragazza.

Maui guardò il tatuaggio.

Guardò la ragazza.

Guardò il pettinino.

Tornò a guardare la ragazza e, afferrandola per la vita, l’alzò di peso per posarla sul pontile al loro fianco e salirvi di seguito con la facilità, grosso com’era, con cui si sale un gradino poco più alto del normale; ritenendo, probabilmente, che quanto avesse da dire sarebbe stato più conveniente dirlo con i piedi fuori dall’acqua.

 

Senza dare il tempo alla ragazza di pronunciare una sola parola, le porse il fermaglio.

«Un regalo per la Mia fan numero uno!», dichiarò strizzandole l’occhio.

Moana sorrise prendendo l’ornamento che le porgeva e rimanendo un secondo a osservarne i decori floreali in rilievo, prima di pronunciare: «Ricorda il guscio di Tamatoa.»

«No, non è che lo “ricorda”: “è” il guscio di Tamatoa. E, come ti ho detto, o per meglio dire, ho provato a farlo, si tratta di una storia impressionante. Ha davvero dell’incredibile come ho pareggiato le zampe del mio ex-amico, barra mostro, barra crostaceo gigante. Immagina, io ero lì che mi…» Maui ripartì a blaterare, ma si bloccò senza fiato non appena la vide raccogliersi i capelli e indossare il suo regalo.

Gli sfuggì un «Wow! Sei bel… cioè: ti sta davvero bene, accidenti!», si riprese in tempo, mollandole un pugnetto delicato su una spalla, almeno così credette, pensando di risolvere il tutto scoppiando poi in una sonora risata.

 

Il piccoletto tentò di rimetterlo, per l’ennesima volta, in carreggiata, scuotendo il capo rassegnato e facendogli volare un nuovo cocco contro il mento.

Maui stava per inveire ancora contro il tatuaggio, quando Moana, arrossendo appena, interruppe ogni bellicosità sul nascere, dicendo: «È molto bello, grazie.»

«No. Tu sei bella», disse lui, facendosi d’improvviso troppo serio. Impreparato a quella valanga di emozioni, cercò alleggerire la situazione: «Piuttosto, dimmi: ti sono mancato?», per continuare, come sua abitudine, con un «Pts! » e, facendo il gesto di spolverar via “chissà cosa” da una spalla, si rispose da solo: «Ovvio che ti sono mancato: io sono Maui, mica uno qualunque. La domanda giusta è: quanto ti sono mancato? E… Ti sono mancato più io o i miei splendidi capelli? A me puoi dirlo, mica mi offendo». Ammiccò al suo riflesso nell’amo. «Eh già, non c’è storia, bello!», disse ancora, lanciando un bacetto.

 

Il tatuaggio sul suo petto tentò inutilmente d’impiccarsi a una palma.

 

Moana, trattenendo a stento una risatina, bloccò gli strani entusiasmi del Semidio, afferrandogli una mano con le proprie e rispondendogli: «Gli amici mancano sempre.»

«E noi… siamo questo? Siamo solo amici?», ribatté lui a bruciapelo.

 

Per una manciata di secondi tutto sembrò fermarsi, mentre Moana, si trovava priva di parole, con lo sguardo fisso negli occhi scuri del gigante.

Un secondo ancora, poi, afferrato un pensiero fugace che la tormentava da prima che lei stessa se ne rendesse conto, socchiuse le labbra pronta a parlargliene, quando… «Mamma!», chiamò disperato un bimbo, correndo sulla spiaggia.

Moana non fece in tempo a voltarsi, sussultando a quel richiamo, che il piccolo, vedendola, le corse incontro, gettandosi senza fiato tra le sue braccia.

«Anapa», lo chiamò lei, abbassandosi quanto serviva per accoglierlo nel suo abbraccio.

Il bambino sussultava scosso dai singhiozzi, col viso nascosto contro il petto della giovane.  

«Non piangere, ci sono io qui, ora», tento di rassicurarlo, carezzandogli la testolina scapigliata.

Il piccolo non sembrava però intenzionato a smettere.

Moana gli sollevò li visetto con attenzione, in modo da poterlo guardare in quegli occhioni ricolmi di lacrime: «Lo sai chi è questo signore qui con me?»

Il bimbo dissentì con il capo, tirando su con il nasino.

«Lui è Maui, mutaforma, semidio del vento e del mare, eroe degli uomini», l’informò a quel punto, proprio come Maui stesso aveva tenuto a sottolineare anni addietro, sapendo cosa significasse il ragazzone per quel bimbo.

 

D’improvviso lo sguardo del bambino si fece più vivace. Rapidamente si asciugò i lacrimoni col braccino e voltandosi verso il semidio, chiese: «Sei davvero Maui?»

«In carne e ossa, ragazzino», rispose il gigante, mandando indietro la chioma fluente e mettendosi in posa.

«Sei il mio eroe, so tutto di te, sai? La mia mamma mi racconta sempre tante storie su te e le tue avventure», asserì il bambino, emozionato.

 

Maui sorrideva spavaldo alle lusinghe del piccolo fan, nascondendo la sua sorpresa e decidendo di fare buon viso a cattivo gioco; si rendeva conto, forse per la prima volta, che la vita era andata avanti per tutti, anche per Moana. Era stato uno stupido a credere… a credere cosa?

Scacciò via quel pensiero troppo pesante, provando nel petto un misto di dispiacere e gioia per la ragazza; un sentimento strano per il Maui egocentrico ed egoista che mostrava al mondo, ma il tempo non era passato solo per lei. Moana non era la sola ad aver fatto i conti con quello che era e quello che altri volevano che fosse, anche lui era stato costretto a cambiare e sapeva benissimo quando quel cambiamento era cominciato…

Si sfiorò distrattamente un orecchio mentre, ridendo, mostrava al bambino i suoi muscoli, lasciandolo ciondolare da un braccio.

…Era stato nell’esatto momento in cui aveva incontrato Moana di Motu Nui.

 

«Dì, hai visto mai tanti muscoli su un uomo solo?», domandò l’eroe di tutti al bambino che dissentì entusiasta con il capo, prima di lasciarsi cadere e tornare con i piedini in terra.

Moana guardava la scena con un sorriso gentile e una mano posata sul cuore, tanto era il calore che questa le provocava.

Anapa rideva entusiasta alle parole del semidio, fin quando notò l’enorme zampa del crostaceo posata sul pontile. «E quella?», chiese.

«Ahhh», disse Maui indicando con il pollice da sopra la sua spalla, «quella sì che è una gran bella storia, ragazzino.»

Il bambino lo guardava emozionato e attento.

«Ero nel grande mare a sud dell’entrata per Lalotai», iniziò con aria drammatica, «quando mi è suonato un campanello d’allarme e mi sono ricordato che “Accidenti, sono dieci anni da quando ho riportato il cuore di Te Fiti, bisogna festeggiare”, e con chi potevo festeggiare se non con gli amici, mangiando una buona zuppa di granchio gigante? Mi arrampicai quindi, incurante del pericolo, fino alla vetta. Fino alla porta che recava i simboli terrificanti del Regno dei Mostri, porta che solo gli dei, o chi è stato scelto da loro, possono aprire. Una volta aperta mi gettai nell’abisso scuro che racchiudeva. La discesa infinita si infranse contro la bolla che racchiudeva quel tenebroso reame e…»

La suspense cresceva sotto gli occhi attenti del piccolo, quando Moana scosse la testa divertita, avvicinandosi ai due: si stava facendo tardi e aveva una ricorrenza da celebrare.

«E… come mai invece sei qui tutto solo, Anapa?», chiese, interrompendo il racconto del semidio.

Il bambino sussultò, ricordandosi improvvisamente cosa l’avesse spinto fino alla spiaggia. «Cercavo la mamma. Tu sai dove si trova, Capo Moana?»

La giovane donna, fingendo arrendevolezza, ma non lesinando un sorriso, indicò al bimbo la direzione presa dalle due donne incontrate non troppo tempo prima.

 

Quindi quel “cosetto” non era più figlio di Moana?

 

Il bambino fece per avviarsi, ma si trattenne, invaso da un moto d’indecisione: lì c’era il suo eroe.

Di corsa si gettò addosso a Maui, attaccandosi saldamente alle foglie del suo gonnellino e, guardandolo con occhi supplichevoli, disse: «Ti prego, non andare via!»

«Ehi, ehi, ehi, calma ragazzino!»

«Ti prego, ti prego, ti prego, rimani per la festa!»

«Ma certo che sì. Sono venuto per la festa e rimarrò per la festa, ovvio!», Rispose l’eroe stranamente più lieto che mai, «No Maui. No party!», concluse, ammiccando.

 

Il bambino allargò un sorriso entusiasta e corse via contento.

 

Maui lo guardò andare con aria soddisfatta, prima di voltarsi verso lo zampone di Tamatoa; a quel punto non gli restava che preoccuparsi del granchio per la zuppa.

Si piegò per sollevare il pezzo di crostaceo, quando Moana lo abbracciò di getto, senza alcun preavviso.

«Non sai quanto sia felice che tu sia qui!», gli confessò finalmente, stringendolo come non ricordava di aver mai fatto.

Il ragazzone nuovamente e incredibilmente serio, le sollevò il viso per guardarla negli occhi.

«Anche tu mi sei mancata e non poi immaginare quanto.»

Improvvisamente tutto era perfetto: il vento leggero che scompigliava loro i capelli, il dolce suono della onde che si perdevano sulla spiaggia, quella luna tanto grande quanto luminosa in cielo e quegli occhi… quegli occhi scuri e profondi in cui perdersi in un modo che nessuno dei due aveva mai pensato potesse essere tanto dolce.

Una mano della giovane si aggrappò alla nuca del semidio, mentre i volti di entrambi si avvicinavano l’uno all’altro. Le loro labbra erano così vicine da sentirsi coccolati dal respiro tiepido che sfiorava loro la pelle. Sapevano cosa stava per succedere e nessuno dei due aveva voglia di spezzare quella magia.

 

Il piccoletto tatuato sul corpo del semidio fremeva, con il cuore che gli pulsava letteralmente fuori dal petto.

 

Mancava così poco, troppo poco per non essere un sogno; eppure erano lì, Maui e Moana, soli, su quel pontile.

 

«Eccoli!», gridò la vocina allegra di Anapa di ritorno alla spiaggia, accompagnato da una folla inneggiante che, avvertita dal bimbo della presenza dell’eroe sull’isola, non poteva non accorrere e rendere Maui partecipe dei festeggiamenti.

 

Gli uomini del villaggio sollevarono di peso i due eroi, portandoli in trionfo, senza accorgersi di averli strappati l’uno all’altra.

Moana rise divertita dall’ennesima interruzione della serata; entrambi risero, trascinati da quella processione festante, mentre mani abili li agghindavano per la festa.

 

 

Lentamente l’orizzonte schiariva: era l’alba ormai, la festa era finita e con questa era tornato il silenzio su tutta Motu Nui.

Moana e Maui, una vicino all’altro, sedevano sulla spiaggia, esausti, ma soli finalmente.

Nessuno dei due parlava, non che ne mancasse la voglia, no, solo… cosa c’era da dire?

Erano stati così vicini a dire e a fare qualcosa che avrebbe potuto cambiar loro la vita…

 

Il semidio però non era fatto per il silenzio: non era riuscito a starsene zitto neanche quando era rimasto relegato in solitudine su quel sasso in mezzo al nulla e… «Certo che la zuppa è stata una vera prelibatezza!», disse con una nota d’orgoglio nella voce, «Chi lo avrebbe detto che Tamatoa potesse essere un amico tanto delizioso

Moana accennò un ghignetto a quella battuta anche troppo scontata, ma del tutto in linea con l’eroe accanto a lei.

«Non credere che sia stato facile, trovare l’ingrediente principale. Ho dovuto scontrarmi non solo contro il mio ex collega di scorribande, ma anche con la ciurmaglia di cocchi indemoniati che ha adottato, barra assoldato, per non so cosa e che volevano farmi la pelle in non si sa quanti modi diversi. Li ho affrontati uno dopo l’altro, senza risparmiarmi e loro… oh, per tutti gli dei! Loro non si sono certo esonerati da colpi bassi e assurde infamie sulle mie frequentazioni più intime. Uhm… sai, credo che abbiano fatto anche delle allusioni su di te, ti credono un ragazzino capellone, o un crostaceo di terra, beh… il mio Kakamorese non è mai stato il massimo, ma propendo per la prima. Comunque, ero lì che rispondevo a colpi con colpi, mutando di volta in volta in quanto il mio genio illimitato proponeva per superare ogni nuovo ostacolo che quella congrega di piccoli e infernali pirati mi parava davanti quando lui, Tamatoa, squallido e sleale, si insinuò nel combattimento, afferrandomi con le sue aguzze chele e…»

Moana sorrise, posandogli un dito sulle labbra, zittendolo all’istante.

«Dunque, sei andato nel Lalotai, le hai suonate a Tamatoa, pareggiandogli le zampe, per poi filare via prima che chiamasse rinforzi. È andata così, no?», riassunse lei i fatti come immaginava fossero andati veramente.
Il tempo di togliere il dito dalle labbra dell’eroe che questi sbuffò arreso. «Più o meno», disse, dandole di spalla, immediatamente ricambiato, prima che scoppiassero a ridere entrambi.

 

Erano stati così vicini al dire e al fare qualcosa che avrebbe potuto cambiar loro la vita…

No, non “avrebbe potuto”, “l’aveva” cambiata. Si erano finalmente ritrovati e non sarebbero tornati indietro, non volevano e non potevano tornare indietro.

 

All’orizzonte una manta saltò maestosa nell'oceano, scagliandosi contro i primi raggi del sole.

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