lancethewolf: anatra col guscio da tartaruga (Default)
lancethewolf ([personal profile] lancethewolf) wrote2019-03-01 09:36 pm

Ardore

Titolo: Ardore

Cow-t 9, terza settimana, M2.
Prompt: “Era una gioia appiccare il fuoco” (Ray Bradbury, Farenheit 451).
Numero parole: 1252
Rating: Giallo
Fandom: Originale

Introduzione:Un amico fedele, talmente fedele da guadagnarsi un nome”, dal testo.
Genere: Favola noir
Coppia: Crack Pairing (? - per essere improbabile è improbabile, ma poi davvero così tanto?)
Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate

 

--- --- ---

 

Il primo istante importante della sua vita fu quando lo vide per la prima volta.

 

Si incontrarono in estate.

Era buio e l’umidità le attaccava riccioli di capelli alla fronte, ma non era questo a darle fastidio. C’era fresco tutto intorno e lei si stringeva alle gambe dello zio. La giornata appena passata era stata calda: a lei il calore non l’aveva mai infastidita, anzi, per sua natura ogni volta che veniva lasciata sola cominciava a sentire freddo e più le persone si allontanano da lei più il freddo aumentava. Quindi, era la brezza notturna a non piacerle.

 

Non voleva stare lì, ma non voleva neanche stare in casa da sola e quella notte tutta la sua famiglia sembrava aver deciso di doversene stare per forza fuori nei campi.

Avrebbe voluto piangere mentre con le piccole dita scostava ciocche di capelli dalla pelle, mentre la grande mano dello zio, con lenti colpetti tra le scapole voleva essere rassicurante, ma lei desiderava solo tornare a casa, che tutti tornassero a casa, al caldo, poi… d’improvviso, qualcosa le rapì lo sguardo.

 

Il cielo si schiarì di colpo, fondendo l’oro delle fiamme con il nero della notte.

Era quello che la sua famiglia era andata a fere nei campi? Era andata a bruciare le cose?

Era piccola e non lo sapeva, ma le piaceva il caldo, quello le era sempre piaciuto.

 

Dimenticò i singhiozzi che le avevano scosso il petto fino a quel momento solo per far entrare nei suoi occhi e nei suoi polmoni lo stupore di quello spettacolo.

Ma… ancora non l’aveva incontrato, no. Era lì anche lui, era già nato, ma lei non lo vedeva; non lo vedeva ancora.

 

I grandi tenevano i bambini in disparte, era però così’ bello il fuoco e così divertente lo sfrigolare della sterpaglia che si consumava.

Si staccò dal pantalone che stringeva nei pugni solo per avvicinarsi a tutto quel chiarore, per vedere un po’ meglio il divampare del fuoco, ma le mani dello zio la presero da sotto le braccia e la sollevarono come fosse una piuma, riportandola esattamente dove si trovava pochi secondi prima, dove doveva stare.

 

Alla sua debole protesta lo zio le rispose solo che non si faceva, che doveva rimanere indietro, che quella era una cosa da grandi e fu in quel momento che lui arrivò.

 

Una goccia di brillante oro rosso, questo le parve, oro rosso che fluttuando nell’etere si posò sul dorso della mano dello zio che la teneva per la manica del vestitino, mentre la sgridava e quell’uomo forte, grande e grosso ritirava la mano e smetteva di riprenderla.

“Cos’è?” domandò la sua voce da bambina, indicando il pizzicotto che quella luce dorata aveva lasciato sulla pelle dell’uomo.

“Una scintilla”, rispose lo zio, “solo una scintilla”.

“Scintilla”, ripeté lei e pensò che la sua bocca non aveva mai gustato suono più accattivante e, come evocate, dallo scoppiettante amplesso di un tronco cavo con la fiamma, un nugolo di scintille si alzò verso il cielo.

 

Quanta meraviglia negli occhi della bambina.

 

Un soffio di vento, rubò alcune di quelle faville coraggiose, che sfuggirono al controllo degli adulti, trascinandosi accanto ai piedini di lei, sulla terra secca e polverosa, e fu in quel momento; in quell’esatto momento che si guardarono per la prima volta.

 

La luce di lui andava ad attenuarsi lentamente e lei… lei non resistette e mentre si fissavano, bagliore negli occhi, allungò la piccola mano.

Il ditino sfiorò la terra e lui non la bruciò, arretrando e lasciandole sfiorare solo il suo calore. E, proprio in quell’istante, come in ogni amore che si rispetti, lui le entrò dentro, irrimediabilmente.

 

Era bastato uno sguardo, un tocco e la loro anima era diventata una cosa sola.

Così avvenne che, mentre lo zio non guardava, lei portò con sé, a casa, quel calore.

 

“Scintilla”, ripeté dopo che la mamma le aveva rimboccato le coperte e dato il bacio della buona notte quella stessa sera, mentre le spegneva la luce, soffiando sulla fiammella della bugia.

“Scintilla” e sgranando i suoi occhioni scuri, si trovò davanti nuovamente quello spettacolo di luci e faville e… “Ciao”, disse, tirandosi in piedi sul letto, rendendosi conto che il cordoncino della candela ancora ardeva, tanto da vedere nella tenue oscurità, proprio attorno a questo, un ricciolo di fumo bianco continuare a consumarlo.

“Ciao”, ripeté ancora, “Scintilla” e quello stoppino tornò a bruciare e ad illuminare il buio della sua stanzetta.

 

Batté le manine tra le risa e la gioia per quella meraviglia e quello… “quello” fu il secondo fondamentale momento che segnò la sua esistenza.

 

Crebbe forte e bella, con gli occhi scuri come la terra e i capelli rossi come il fuoco che le avvampava l’anima. E lui… lui era cresciuto insieme a lei: dentro di lei, accanto a lei. Un amico fedele, talmente fedele da guadagnarsi un nome.

Ardore lo chiamava lei, mentre scriveva con la sua cenere lettere fuligginose nelle pagine del suo diario.

Ardore lo chiamò suo padre, giustificandola, quando col fuoco consumò i capelli della bambola della sorella dopo che aveva fatto la spia sul suo operato.

Ardore lo chiamò intimamente, mentre con la sua vampa anneriva le tende della mamma, quelle stesse tende che per essere terminate l’avevano fatta arrivare tardi alla festa in paese.

Ardore era il suo nome, proprio come ardeva il carro della megera che l’aveva ridicolizzata davanti al resto della sua classe.

 

E… ardore fu quello che bruciò lei quando Jason la baciò.

Quello fu il terzo evento più importante della sua vita.

 

Per un po’ ci fu solo Jason… Jason e le sue promesse, Jason e le sue carezze.

Jason che diceva di amarla, Jason e tutte quelle pretese che lei credeva fossero anche le sue.

Jason che annichiliva la sua fiamma, stringendola tra le braccia.

Jason che… allontanava il suo Ardore.

 

Poi però arrivò il quarto avvenimento:

 

Quando ad ardere fu la sua casa, la casa che aveva costruito con l’uomo che aveva detto di amarla e che aveva visto baciare Rosemary nella stalla e… la stalla era stata quella che aveva bruciato per prima, insieme a Rosemary e al pusillanime che l’aveva ingannata.

 

Tutto quello che credeva suo arse quella notte, mentre la città dormiva, tutto… tranne il suo cuore.

 

Cuore di strega”, gridò la madre di Jason e qualcuno le sputò addosso, mentre accatastavano la legna.

Assassina”, la chiamavano, ma non era quello a pesarle davvero, ma il freddo che sentiva dentro, quel freddo che era tornato a gelarle il petto da quando l’ardore aveva abbandonato la sua anima.

 

E le fiamme le morsero la carne come cani famelici, strappando e dilaniando il suo spirito con una rabbia e una fame che comprendeva bene.

Conosceva la sofferenza del tradimento e adesso era “Lui” a chiedere pegno, a prendersi la sua vendetta.

Lui che le era sempre stato vicino e che lei aveva allontanato e tradito.

 

Eppure si erano amati così tanto e… una parte di lei ancora lo amava, era stata solo abbagliata da altre fiamme, fiamme che però non sapevano riscaldare davvero.

 

E lui? Lui poteva dimenticare?

Lui, l’unico che l’aveva sempre amata sul serio.

Lui e solo lui.

 

E… mentre i suoi occhi si perdevano a inseguire le faville della legna e della paglia nel fumo di quel rogo,

“Scintille”, sussurrò lei e quell’abbraccio infuocato smise di fare male, e sorrise perché lui l’aveva perdonata.

 

Quello fu l’ultimo momento importante della sua esistenza, perché, a conti fatti, l’unica cosa che a lei era sempre piaciuta davvero era appiccare il fuoco.